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Santa Barbara Half Marathon

Ripensandoci a posteriori non poteva che finire così. Decimo assoluto e terzo di categoria (M40-49). Ma non perchè abbia fatto la gara della vita, anzi. Le premesse non c'erano. Le sensazioni erano tutt'altro che buone. I precedenti anche. E non sono certo uno che mette le mani avanti per pretattica. Ma avevamo programmato questa corsa fin dal primo giorno dei preparativi di matrimonio e viaggio di nozze. Non sarebbe mai e poi mai potuta andare male. Non è stata perfetta, ma è stata vera. Goduta. Voluta. Vissuta. 


Mezza Maratona di Santa Barbara #sbmarathon #RunAmericasRiviera.

Ci siamo alzati come in una qualsiasi domenica mattina di-corsa. Ma di sabato. Un po’ più presto del solito visto che la partenza era prevista per le sette e un quarto. Non è stata la prima volta che ci siamo trovati in una camera di una nuova città. Ma in un Motel si. Abbiamo voluto addentrarci il più possibile nella cultura statunitense. Sala  breakfast già piena quando arriviamo. Noi felpa, infradito e faccia assonnata. Gli altri già in divisa da gara con tanto di pettorale, visiera e pantaloncini corti. Per colazione solo qualcosa di leggero e digeribile. Niente muffin, waffle, donuts, bagels. Solo una banana e magari un caffè, finito subito sul posto. La navetta che ci ha portato alla partenza l’abbiamo prenotata già il giorno prima, appena arrivati. Orari scaglionati. Nomi schedati. Saliamo, ma siamo gli unici con in spalla la my-bag per il dopo-gara. Qualcuno si accompagna ancora con un bicchierone di caffè, qualcun altro con barrette o bottiglie per i chilometri che verranno, ma comodamente tenute in mano. La temperatura non è certo mite anche se siamo in California. Santa Barbara. Lo zaino ci serve anche per riporre i vestiti che ci tengono ancora al caldo.

La zona partenza non è lontana. Le strade sono già sorvegliate e sbarrate da birilli e segnaletica arancioni fosforescenti. Al seguito due poliziotti per ogni postazione. Le auto si incanalano, in fila, senza fretta, come in ogni altro giorno dell’anno. Mentre il sole comincia ad alzarsi si avvicina la zona del drop-off, terra dei volontari. Accompagnano auto e pulmini quasi scortandoli. Non ci fermiamo finché non ci danno l’ok. Ossessione maniacale di seguire le regole ad ogni costo. La marea umana verso la zona partenza sta già fluendo. Sembra di essere ad una sfilata senza tempo. Nel senso di clima. T-shirt e pantaloncini larghi vanno per la maggiore con gli uomini, mentre le donne preferiscono pinocchietti e canotta. Ma c’è anche chi non ha paura del caldo che verrà e decide di sfidarlo con la divisa autunnale. Anche qualche tuta in pile. O chi, indeciso, predilige il petto-nudo e il pantalone lungo e nero. Come nei migliori film c’è chi sorseggia ancora dal bicchiere il caffè. Immancabili arrivano anche i supereroi in costume. Ma la cosa che più di tutte salta all’occhio è la massiccia presenza femminile. Praticamente il doppio rispetto agli uomini (1427 vs 855). Pensare che da noi solitamente il rapporto è quasi di un decimo. Ma è una cosa di cui mi ero accorto fin dalla prima corsa per le strade di San Francisco e ancora di più sulla spiaggia di Santa Monica. Tante donne e soprattutto ragazze giovani. Come anche la quasi totale assenza dello stereotipo dell’americano-medio, grasso e sedentario. E’ l’approccio mentale che è diverso. Correre per stare bene. Correre per divertirsi. Correre per stare insieme.

Siamo quasi gli unici a scaldarci mezz’ora prima dello sparo. Avanti e indietro vicino all’arco della partenza mentre la gente continua a defluire. La borsa-cambio l’abbiamo abbandonata poco prima. Un solo piccolo furgone per quasi tremila persone. La consegna viene fatta lasciando la propria sacca dentro ad uno scatolone di cartone, scegliendo l’intervallo del proprio numero di pettorale. Nessuna paura di scambi o smarrimenti. Sotto il gonfiabile del chilometro (miglio) zero non c’è una sola transenna. Non c’è gabbia privata nemmeno per i top-runners. Sembra non ci siano nemmeno i top a quanto pare. La gente sfila accodandosi con calma, senza spingere. Eppure mancano solo pochi minuti. Mi guardo attorno, quasi intimorito dal volermi avvicinare alla linea di partenza che raggiungiamo solo dopo che lo sparo ha dato il via alle 13,1 miglia di gara. I top ci sono e prendono quasi subito il largo.

Siamo appena fuori dal paese, circoscritti tra la freeway e la zona residenziale. Ci entriamo subito. Il cielo è di un azzurro denso, ma le ombre ancora lunghe del mattino mantengono il clima ideale. La prima parte di percorso sfiora le villette residenziali della zona più a nord di Santa Barbara. Lunghi viali alberati ancora dormienti. Da una parte le ville ordinate e dall’altra la pista ciclabile che attraversiamo quasi in solitaria in fila indiana. Nessun’auto. Il silenzio viene interrotto solo dall’applauso continuo e puntuale dei volontari e dei poliziotti posizionati ad ogni incrocio. Good job e You're looking good sono le urla più ricorrenti. La corsa è piacevole, rilassante, quasi surreale. Tanto verde quando la strada entra nel parco che ci riconsegna alle colline. I ristori d’acqua e sali sono ravvicinati. C’era da immaginarselo vista l’attenzione posta sul tema della disidratazione il giorno prima al ritiro del pettorale. Tra parentesi, organizzazione al villaggio pressoché scarna. Non si è respirata da subito l’aria dell’evento. Quasi più un ritrovo tra amici. Nel caso specifico il mondo podistico italiano ha tanto da insegnare. Ma all’ombra degli alberi che costeggiano il canale il clima è tutt’altro. Sembra sempre una festa anche se per lunghi tratti si corre soli. Anche i ragazzi dei ristori fanno a gara per consegnare il loro bicchiere e non smettono mai, mai, mai di salutare ed applaudire.

Lungo la strada con un orario più consono cominciano ad apparire anche i primi spettatori. C’è chi comodamente si è portato la sedia da casa e rilassato dà un occhio ai passaggi e un occhio al libro che stringe tra le mani e chi, con campanaccio e cartelli (esclusivamente in legno e di dimensioni ridotte), cerca di fare la sua parte. Credo sia stata la prima corsa che abbia fatto in cui dall’inizio alla fine dei 21 Km non abbia ricambiato un saluto. Non energia sprecata, ma adrenalina immagazzinata per quando la strada è diventata più difficile.

La seconda parte di gara è stata esteticamente di minore impatto. Tutta quasi esclusivamente lungo le strade che risalivano e riscendevano le colline affacciate sul mare. Ma nei punti critici, nei piccoli strappi, nel curve e contro-curve c’è sempre stato qualcuno appostato ad aspettarci. E dove il pubblico ha latitato ci ha pensato la musica. Sparata a tutto volume, lungo l’ultima vera salita che sembrava non finire mai, Eye of the tiger. Tutti come esili Rocky Balboa hanno stretto i denti fino a risalire la cresta per poi buttarsi giù verso gli ultimi tre chilometri sul mare.

Mezza e Maratona di Santa Barbara sono anche la corsa del Veterans Day e ad attenderci all’ultimo miglio sono stati proprio loro, i Marines. Fieri di essere americani, gli ultimi milleseicento metri sono stati completamente contornati da bandiere a stelle-e-strisce ed i veterani hanno consegnato ad ogni runner un’altrettanto piccola bandiera da portare all’arrivo. E pur non essendo uno di loro non me la son sentito di non partecipare alla loro festa. Tanto più quando una signora appena uscita di casa (si, proprio la sua villa che dava sul percorso chiuso al traffico della corsa) mi ha gridato, applaudendo, Thanks to be here. L’arrivo è stata la conseguenza e l’epilogo del tutto. Dopo l’ultima piccola curva due ali di applausi scaldate dalla voce dello speaker. Senza smania di fare di più, ma con la sola voglia di esserci in quel momento. Lì.

Peccato l'assenza della medaglia per problemi organizzativi, chissà se mai arriverà a casa. Non ho mai guardato il cronometro in tutta la gara come ho fatto in tutte le ultime uscite USA. Solo l'intermedio del decimo chilometro, 38' 35". Le sensazioni sono sempre state buone. Ma non ho pensato troppo nè al ritmo, nè al tempo. Ho pensato solo a correre, a guardare chi stava davanti e quando provare ad attaccarlo. Ho pensato a godermi un'esperienza comunque unica. Per la corsa in sè e per tutto il contorno. Un epilogo e un punto di partenza. E magari un nuovo modo di correre. L'1h 22' 52" finale non è stato quello che mi sarei aspettato a tavolino settimane fa. Ma se avessi potuto, questa volta, avrei forse voluto che non finisse più. Fatica permettendo.