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Monza-Montevecchia EcoTrail (MoMot)

Ogni volta è una MoMot diversa. E' questa la magia che nasconde la strada che da Monza arriva a Montevecchia. Non importa quante volte si sia corso lungo i suoi sentieri, quanto si sia studiato il percorso nei minimi particolari, quanti compagni si siano cambiati da un'edizione all'altra, quanti allenamenti si siano provati tra i suoi boschi e le sue salite. Pronti, sul palco della partenza, al via dello speaker, è sempre ancora la volta di una nuova MoMot. MoMot che all'inizio sembra solo un allenamento in compagnia mentre col proprio compagno si sorpassano e si salutano gli avversari. Fino a quando non si viene stregati dalla luce dei suoi boschi, dai suoi freschi torrenti, dalle sterminate campagne deserte e assolate lungo i colli brianzoli, dalle salite che spezzano prima il fiato e poi le gambe. MoMot che sulla carta sembra sempre solo una classica cronometro a coppie, che dietro la bellezza indelebile di un quadro nasconde le insidie dei veri trail. Ma che alla fine, come tutto ciò che ami, ti stringe tra le sue braccia, ricordandoti che correre è semplicemente bello.

Si ringraziano Podisti.net e Roberto Mandelli per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

Ci deve essere un segreto dietro alla bellezza di questa corsa. Perchè chiunque la faccia rimane stregato, rapito, ammaliato, come colpito dalla sindrome di Stendhal. Ci deve essere qualcosa in più che ogni Monza-Montevecchia regala. Perchè nessuno vorrebbe mai rinunciarci dopo averla provata. E ci doveva per forza essere anche la prima volta, per me, di una MoMot fatta al massimo, con le forze dosate, il ritmo studiato, un tempo (finale) sognato. Non che le passate edizioni insieme a Chiara siano state una passeggiata. Anzi, già lo scorso anno, completamente a corto di lunghi, ero arrivato al centro sportivo di Montevecchia esausto. Ma correrla insieme a Franco (Mauri) sapevo sarebbe stata sfida vera. Prima di tutto contro me stesso. L'ultima volta in coppia, ma a staffetta, due mesi fa, era stato un successo.

Ma MoMot è anche soprattutto sinonimo di squadra. Condivisione. In realtà non abbiamo mai parlato molto durante la gara, concentrati su percorso e ritmo. Non ce n'è mai stato bisogno. Quando si corre insieme, la prima cosa che si impara è conoscere l'altro. A fidarsi dell'altro. Ad aiutare l'altro. E' la bellezza delle competizioni a cronometro, dove non ci sono le distrazioni degli avversari diretti e dove si prova sempre e solo a dare il massimo. Così siamo scesi dai gradini della partenza della Villa Reale e così abbiamo attraversato i primi otto chilometri che corrono lungo il Parco di Monza e seguono poi il Lambro. Ritmo costante e velocità controllata per non andare in affanno nella parte finale, come (mi) capita troppo spesso. Ma anche passo deciso per cercare di superare il maggior numero di coppie (noi siamo stati la 86ma) lungo le strade più larghe e piatte prima dell'inizio della Valle del Rio Pegorino. Strada che sale sempre leggermente fino a quando non diventa sentiero. E' forse la parte che più mi piace di tutto il percorso. Tratti che si inerpicano su collinette sterrate a tratti fangose, per poi ridiscendere strette tra le radici degli alberi. L'acqua fredda e trasparente del torrente che taglia continuamente la strada inzuppando le scarpe. I raggi decisi del sole che provano ad infilarsi tra i rami degli alberi che regalano però un'ombra quanto mai sperata. Non ci sono rumori se non il tonfo sordo dei passi di chi corre, ad interrompere il canto sparso degli uccelli. Il respiro affannato e un leggero salutarsi tra chi supera e chi viene superato. I chilometri passano in fretta, rapiti e trascinati dall'atmosfera e spinti dalle forze, nonostante tutto, ancora fresche.

La mente, alla competizione, ritorna solo fuoriusciti nuovamente all'aria aperta quando il sole ti riporta alla realtà e la fatica comincia davvero a salire. E' passata poco più di un'ora e i chilometri alle spalle sono già quindici. Dalle retrovie, ancora prima di inoltrarci tra gli alberi, gli unici ad averci superato sono stati Dario (Rognoni) e René (Cuneaz). Ritornati sull'asfalto, anche le gambe riprendono il ritmo abituale, ritrovando il ritmo iniziale attorno ai 4' 15". Dopo Casatenovo sembra di arrivare in terra toscana, come spesso dice Chiara. Non più alberi, ma solo sentieri sterrati che attraversano campi verdi e gialli, salendo e scendendo tra le colline dell'alt(r)a Brianza. Le coppie da raggiungere e superare ormai sono diventate più distanti tra di loro, ma ogni nuova squadra è sempre uno stimolo in più. Viaggiamo appaiati, col fiato più corto e le gambe più pesanti. Ogni ristoro è occasione per bagnarsi e rinfrescarsi. La giornata nuvolosa prevista si è invece presentata carica di sole e cielo azzurro che fanno sembrare ancora più vivi i colori dei paesaggi che disegnano la strada da Monza a Montevecchia. A sinistra, in alto, in cima alla cronoscalata, il santuario osserva tutti indistintamente arrivare alla spicciolata.

Il ventiduesimo chilometro segna lo spartiacque tra la mia prima e seconda parte di gara. Se prima la mente poteva essere tratta in inganno da paesaggio e mille pensieri, con l'arrivo della prima salita gambe e corpo hanno preso il predominio su qualsiasi altra distrazione. Sono tre le vere salite di tutto il percorso e tutte e tre sono racchiuse nei dieci chilometri finali. Prima il lungo e bellissimo viale alberato che sale verso Lomagna. Cinquecento metri che danno un piccolo assaggio alle gambe di ciò che li aspetterà più avanti. Dopo un chilometro e mezzo, la doppia salita di Trecate che in poco più di mille metri carica le cosce fino a farle esplodere. E per finire la cronoscalata, due chilometri e mezzo dal guado di Lomaniga fino al santuario di Montevecchia. La mia fatica è andata via via crescendo. Fortunatamente Franco ha subìto meno tutto il dislivello positivo da percorrere. E mi è dispiaciuto essere il piombo che non ci ha permesso di fermare il cronometro finale con un tempo migliore. Ma quando le gambe non hanno intenzione di andare non vanno.

La fatica crescente l'ho sentita anche nei tratti sterrati di piano tra una risalita e l'altra. Gambe meno reattive, muscoli contratti e tesi. Il ritmo ha subìto un grosso rallentamento e qualche coppia più veloce ci ha ripreso dalle retrovie. Ma è stato importante averle fisicamente davanti (cronometricamente siamo comunque rimasti sempre in vantaggio) per avere un riferimento fisso a vista e non lasciarsi rallentare troppo dalla stanchezza crescente. E se la prima e la seconda salita siamo riusciti a passarle correndo, la cronoscalata si è trasformata ben presto (per me) in una via crucis. Fatica a mettere un piede davanti all'altro e dopo la metà, per l'ultimo tratto prima di arrivare in piazzetta, quando il sentiero diventa scalinata e poi cemento, la corsa si è trasformata in una camminata/arrampicata veloce. Anche perchè più produttiva. E il ricordo, mentre a fatica salivo, è subito andato alla salita dello scorso anno quando a ruoli invertiti ero io ad essere più fresco e Chiara a faticare. Strade che si intrecciano. A svegliarmi dall'annebbiamento la mano di Franco sulla schiena ad aiutarmi a riprendere ritmo per gli ultimi metri prima di scollinare nella piccola piazza di Montevecchia e risalire poi ancora lungo i gradini che portano al santuario. Un sospiro. Acqua in faccia. E la ripresa. O almeno così speravo. Ma la realtà si è presentata in maniera inaspettata.

Sapevo che l'ultima parte di ridiscesa verso il traguardo al centro sportivo era stato cambiato. Non più scalinata e ultimo assaggio di bosco, ma discesa diretta per un lungo tratto di asfalto. Ma il primo allarme l'avevo già avuto sugli ultimi gradini del santuario. Scendendo e piegando le gambe a ritmo troppo alto, il (solito) flessore che dalla Maratona di Milano mi sta dando problemi di crampi, ha iniziato a farsi risentire. Il risultato (per non forzare la gamba) lungo la discesa è stato un irrigidimento della schiena nella zona lombare che mi ha rallentato non poco. Un chilometro e mezzo tra asfalto e sentieri sterrati che sembrava non finire mai. Solo l'ultima parte in piano ha rimesso tutto in ordine, con le gambe che hanno ripreso ritmo e la schiena che si è subito rilassata. Ultimo guado sotto la strada che porta a Cernusco Lombardone e sottobosco che si apre sui campi del centro sportivo di Montevecchia. Uscire dall'ultimo tratto di bosco ti riporta alla realtà in un attimo. Cielo azzurro, il sentiero ghiaioso e pianeggiante che costeggia i campi da calcio, la voce dello speaker che echeggia nell'aria e l'ultima risalita sull'erba verso il gonfiabile bianco della fine. Gli ultimi passi non si sentono, si vivono come trasportati dall'inerzia della salitella, fino a piegarsi per lasciarsi infilare la medaglia dei bambini pronti sulla linea dell'arrivo. Il bip del gps segna 32 Km esatti in 2h 31' 58".

Ma non posso fermarmi qui per parlare della MoMot. E questa è una delle cose che la rendono diversa da qualsiasa altra corsa. Non perchè in una gara a cronometro il risultato può essere in bilico fino all'arrivo dell'ultima squadra (14° alla fine la nostra posizione assoluta, nda). O meglio, non solo. MoMot è anche voglia di stare insieme, di raccontare, di condividere, di scherzare, di ringraziare, di aspettarsi, di tifare, di mangiare, di fare festa. Tutti. MoMot è l'aria che si respira dall'inizio alla fine della corsa, circondati dai sorrisi e dall'organizzazione impeccabile dei centocinquanta volontari del Monza Marathon Team capitanati dal pres Andrea (Galbiati). MoMot è godere la domenica mattina della vista dei giardini deserti della Villa Reale di Monza, assaporare la fatica che cresce lungo i sentieri che attraversano le colline della Brianza, aspettare ansiosi il prossimo guado per tuffarcisi dentro a piedi uniti come bambini, spingersi lungo le salite senza arrendersi prima di aver gustato il panorama che si apre sulla brianza. O sorridere sfiniti sull'erba col proprio compagno di squadra con una birra in mano. E l'ultimo pensiero lo voglio invece lasciare a tutti quelli che seguono e leggono Corro Ergo Sum. In tanti ieri in partenza, in gara, lungo le strade, all'arrivo mi/ci hanno salutato. Io corro. Poi scrivo. E mi piace farlo. Semplicemente grazie.