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Milano City Marathon 2013, una maratona per Markiyan

Voglio partire dalla fine. Perchè se questa volta ho tagliato il traguardo è solo per quel finale a cui non avrei mai potuto rinunciare. Non l'avevo immaginato in questa maniera ma, si sa, la maratona è una corsa che non puoi programmare. Probabilmente è stata davvero la più faticosa che abbia mai corso, non la migliore e nemmeno la peggiore. Ma è stata una corsa che è andata oltre i 42,195 Km del percorso, oltre le solite settimane di allenamento, oltre programmi e tabelle. È stata una corsa dove io ho messo le gambe, la testa, la voglia, la determinazione. Ma il mio cuore batteva insieme a tutti quelli che hanno aiutato e corso per AiCRA. Se non ci fosse stato Markiyan oggi sarei qui a raccontare un'altra storia. Forse più breve. Non è stata la corsa perfetta, ma più di così non sarei riuscito a fare.

Appena ho passato il cartello del 41 Km ed ho svoltato a destra passando accanto all'Arena Civica, in fondo al vialone che porta al Castello Sforzesco ho visto e sentito Chiara e Franco chiamarmi a qualche centinaio di metri di distanza. È qui che ho ceduto. La concentrazione, i nervi, la tensione si sono sciolti ed ho avuto un attimo in cui avrei voluto piangere e sfogarmi. Fermarmi. Ma ho continuato, avvicinandomi a loro un passo alla volta. Trascinato, con un ritmo al chilometro quasi un minuto oltre quello che avrei dovuto tenere. Ho provato a sorridere ma credo che più di una smorfia non mi sia uscita sul viso. Hanno visto e capito senza dover dire niente. Io sapevo solo che sarei dovuto arrivare lì.

Come per destino, mentre anche loro mi accompagnano per qualche metro correndomi affianco, ho il primo vero crampo ai flessori che mi costringe a fermarmi a tirare la gamba. Il potere della testa. Scesa la concentrazione il corpo molla. Manca meno di un chilometro all'arrivo ma nei muscoli non ho più nulla. Solo qualche secondo, tiro la gamba. Anche un ciclista di passaggio si ferma e mi aiuta. Poi riparto e alzando lo sguardo avanti dove il pubblico comincia ad assieparsi attorno al cancello di recinzione del Parco Sempione vedo la bandiera bianca di AiCRA. Riconosco Raffaela. I suoi bimbi. Tutti sorridono ed è quello che mi serve. Prendo al volo l'asta e continuo verso l'arrivo. Poco più di cinquecento metri.

C'è il sole finalmente. L'aria leggermente contraria mi aiuta ad aprire e sventolare la bandiera mentre sfilo tra le transenne che delimitano il percorso di gara. Il pubblico è numeroso. In tanti appaludono. La scarica di adrenalina che mi ha dato vedere tutti quelli che, come me, sono lì per Markiyan mi fa aumentare leggermente il passo. Le gambe sembrano girare molto meglio. La voce dello speaker sotto il traguardo si avvicina sempre di più. Giro attorno al Castello Sforzesco e quando l'ultima curva si apre intravedo i cartelli degli ultimi duecento metri. Non siamo ancora in tantissimi ad essere arrivati. Tengo alta l'asta con la mano destra, ma ancora prima di vedere l'arrivo mi devo fermare nuovamente a tirare ancora la gamba. La gente guarda incuriosita, ma non smette di urlare parole di incoraggiamento. Riparto e c'è poi solo il traguardo. Lo speaker vede la bandiera e mi accompagna, a modo suo, negli utlimi metri fino al gonfiabile dell'arrivo. Sono le 12.29.

Sette ore e mezza prima era suonata la sveglia. Solo tre ore di sonno per la tensione pre-gara. Un po' troppo poco visti anche tutti i problemi causati dal virus solo tre giorni prima. Alle 6.24 eravamo già in Metro, destinazione Rho. Io, Chiara, Iacopo, mamma, papà, Antonella e Renzo. Cris e Stefania ci raggiungono direttamente in Fiera. Il rito pre-gara si consuma in pochi attimi, tra code per il bagno e il cambio divisa. Sono già tante le facce conosciute che incontro per strada tra amici e lettori del sito. Due chiacchiere con tutti, impressioni e in bocca al lupo. Fortunatamente e diversamente da quanto previsto non piove. Cielo coperto da nuvole destinate ad aprirsi con l'arrivo del sole. Fa comunque freddo.
Mezz'ora prima del via entro già nelle gabbie. Siamo ancora lì, a pochi metri dal gonfiabile della partenza, dentro ai nostri sacchetti di cellophane. Uno ad uno arrivano tutti. Saluto Arturo, Andò, Andrea Trabuio che per scaramanzia non si vuole ancora sbottonare su come stia andando l'organizzazione dell'evento. E poi gli immancabili compagni di corsa, Paolo e Gianni (Pistis). Con Paolo non ci siamo mai incontrati, ma ci siamo scritti tante volte. Pareri, consigli, opinioni. Ma siamo alla partenza insieme e proviamo a restarci il più lungo possibile. Assieme. Spero che Cris, poco più dietro, riesca a raggiungerci appena dopo il via.


Si ringraziano Arturo Barbieri e Antonio Capasso per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

Arrivano i top-runners passando attraverso un corridoio di bandiere con i colori delle loro nazioni, si sistemano poco davanti a noi e dopo un breve Inno di Mameli lo sparo del cannone dà il via alla nostra corsa. Le sensazioni sono più che buone. Le gambe sembrano girare bene e come sempre i primi chilometri sono un pochino troppo veloci. Ma ho imparato dopo le dis-avventure dello scorso anno e una volta affiancato da Paolo cominciamo a controllare il ritmo.
Il percorso è identico a quello del 2012 nella prima parte. Rho Fiera, Pero, Viale Novara fino al Parco di Trenno e San Siro. L'unica preoccupazione che abbiamo è quella di rimanere i più costanti possibili tra i 4' 05" e i 4' 10" al chilometro. In realtà, guardando il grafico dei passaggi del gps, siamo stati forse un po' troppo veloci di qualche secondo all'inizio, ma poi ci siamo decisamente assestati. E adesso ho finalmente anche capito il perchè. Fino al Parco di Trenno la strada è tutta in leggera discesa, venti metri in circa otto chilometri. Due-tre metri al chilometro che sommati all'euforia della partenza e alla freschezza della prima mezz'ora di corsa danno quella velocità in eccesso che andrebbe controllata. Il leggero falsopiano che si incontra poi subito sfiorando il parco sembra, per questo, ancora più duro.

Il passaggio al 10 Km è praticamente perfetto, attorno ai 42'. Sono strade che conosco più che bene. Avvicinandoci a San Siro si sente già in lontananza l'eco dello speaker al primo cambio-staffetta. Siamo in un piccolo gruppo ed io e Paolo in testa facciamo il ritmo su quanti ci seguono. Proprio passando sotto la Curva Nord mi sento chiamare alle spalle e veniamo raggiunti da Lorenzo, mio compagno alla Monza-Resegone dello scorso anno. Piccolo campioncino. Sembra volare coi suoi (forse) 50 Kg e ci passa attorno ai 4' al chilometro. Due parole veloci, ma è un piacere vederlo correre.
Sfiliamo poi lungo le gabbie del cambio della staffetta. Già tanta la gente posizionata in attesa dei propri compagni di squadra. Ed è bello vedere così tante persone sorridere, incitare, applaudire. Sguardi emozionati di chi vorrebbe essere già in gara e che guarda come marziani chi sta correndo la regina delle corse. È questa la Milano-che-corre. Quella che vorremmo sempre vedere, quella che ormai è diventata.
Già, perchè nonostante tutte le critiche, nonostante tutte le lamentele, Milano quando corre è sempre più bella. Lungo il percorso non troviamo mai un intralcio, nessun punto di disorganizzazione, nemmeno una lamentela. L'unica cosa che mi ha fatto un po' specie è stato vedere quante auto erano comunque circolanti nonostante la domenica ecologica. Fosse per me, nel week-end, la città dovrebbe essere sempre chiusa al traffico. Sembra rinascere, senza rumore, senza caos, solo con visi sorridenti e il sole come compagno. Non è stato un caso che l'unico week-end di sole sia stato proprio e solo quello della Maratona.

Ci lasciamo Piazzale Lotto alle spalle e dopo aver preso in direzione di Viale Certosa proviamo il primo tratto del nuovo percorso. Passando accanto al Montestella veniamo indirizzati verso il nuovo nodo Fiera Milano City. Un lungo vialone a due corsie e doppia carreggiata. L'asfaldo grumoso e spesso delle grandi autostrade. Davanti a noi un lungo serpentone allungato di atleti che prima salgono su un ponte e poi scendono in un sottopassaggio. Quello che non ci vorrebbe mai. Sarebbe stato più utile passargli affianco. La salita segna le gambe e mi si accende il primo campanello d'allarme. Siamo solo al 17 Km e la corsa non è già più fluida. Io e Paolo corriamo fianco a fianco mentre passiamo in mezzo ai palazzoni che ci portano per la prima volta verso il centro e il passaggio alla mezza. Qualcuno comincia già ad essere in crisi. Ci sorpassano anche in tanti, ma il nostro passo è comunque buono e in linea con quanto vorremmo fare, arrivare tra le 2h 55' e le 2h 59'. Cris non ci ha ancora raggiunti, ma chiedendo a Stefy che ci aspetta lungo il percorso, mi informa che è poco dietro di noi.
Sbuchiamo in Corso Sempione. Un viale maledetto ma che ho imparato ad amare, a centellinare metro per metro, perchè è sempre il viale che ti porta all'arrivo. Noto subito che non c'è vento contrario ed è buona cosa, soprattutto per quando ci ritorneremo per il passaggio dal trentottesimo. Prima del ristoro del 20 Km sfilo il gel che ho appuntato al fianco. Al contrario di quanto successo lo scorso anno la spilla si apre da sola senza farmi perdere tempo e concentrazione. Dagli errori si impara. Si deve imparare.
Comincio a sentire un po' di fatica, ma confido nel benessere degli zuccheri. Sfiliamo lungo Parco Sempione fin sotto il gonfiabile della mezza dove vedo papà e le sue campane che ci aspettano. È sempre d'aiuto sapere che c'è qualcuno da raggiungere. E penso anche a Chiara e a mia mamma che sono più dietro, chissà come staranno andando. Il timing a metà corsa è pressochè perfetto, anche un po' troppo veloce, 1h 26'. Finisse così, sarebbe un successo. Paolo è un martello e vedo che è messo molto meglio di me. Sulla salita che ci immette verso Piazza della Repubblica comincio a sentire che le gambe diventano pesanti. Ma so che poco dopo ci sarà la nuova deviazione verso la Stazione Centrale con il secondo cambio staffetta. E infatti ci facciamo il primo vero bagno di folla.
Tantissima gente presente. Lo speaker scalda l'atmosfera e spettatori e staffettisti non si fanno certo pregare con voce e mani. Al secondo incrocio vedo a sorpresa Eva e Laura, un deja vù. Complimenti a loro che solo un anno fa erano spettatrici dietro alle transenne e che questa volta ne sono diventate a loro volta protagoniste da questa parte.
L'inversione ad "U" di fronte alla Centrale è più innocua di quanto pensassi e la spinta di chi è lì solo a guardare la fa sembrare una parabolica da circuito. Vedo anche Tito lanciarsi sulle transenne al mio passaggio. Ma una volta usciti dalla piazza e proiettatio verso Porta Venezia inizia il mio calvario.

Paolo prende qualche metro di vantaggio e gli dico di non preoccuparsi. Capisco che il ritmo è troppo alto e devo rallentare. Le gambe cominciano già ad irrigidirsi, a diventare pesanti, la spalla destra a farmi male. Ho calcolato che comunque facendo la seconda parte di gara anche dieci-dodici secondi al chilometro più lento starei sotto le tre ore di gara. Provo a riprendere un po' di fiato.
Anche in Porta Venezia si attraversano due ali di folla. Magari tanta gente sarà lì per caso, per la passeggiata domenicale, per vedere quattro negozi, ma nessuno si lamenta. Chi deve attraversare la strada guarda incuriosito aspettando il proprio turno. E' così che si deve rieducare una città, così che si può creare un'empatia con la corsa. Lungo Viale Majno Cris mi raggiunge, facciamo qualche metro insieme e poi lo lascio andare. E lo vedo più che bene (chiuderà in 2h 57' 04", nda). E per l'ultima volta vedo sia lui che Paolo (2h 59' 04") nel tratto di incrocio sull'andata-ritorno verso Porta Venezia e la deviazione verso il Duomo.
Io soffro e parecchio. Sento che le gambe non vanno più e comincio a contare i chilometri che mancano alla fine. Non so come fare ad arrivarci. I piccoli crampetti da lungo cominciano a diffondersi nella gamba, la spalla aumenta il fastidio e sento collo e braccia contratte. Mi deconcentro totalmente e mi scordo di segnare gli intermedi dei chilometri successivi per ben due volte. Quindi non so nemmeno a che passo sto procedendo. Mi riprendo leggermente poco prima di Piazza San Babila. Ma il ritmo è ormai un altro, calato già attorno ai 4' 30".

Nel chilometro che da Corso Vittorio Emanuele, passando per il Duomo, porta alla Scala il pubblico è tantissimo. A sorpresa ogni tanto sento anche qualcuno chiamarmi e mi riprendo come se qualcuno mi avesse risvegliato con uno schiaffo. E mancano ancora dodici chilometri all'arrivo. Un'infinità. E proprio dove comincia la vera maratona. Ho la tentazione di fermarmi. Non avrebbe senso continuare. Fermarsi vorrebbe dire risparmiare le gambe, usare la Milano City Marathon come lungo e magari riprovarci tra un mese a Trieste. Magari evitare anche un infortunio muscolare. E soprattutto finire di soffrire. Questo mi passa per la mente, in continuazione. Una resa, si, ma ponderata. Giusta.
Ma poi penso a Markiyan. Penso a chi mi sta aspettando all'ultimo chilometro per portare a termine il progetto che abbiamo iniziato insieme, come una scommessa. Penso che mi sono messo in gioco e che bisogna giocare fino in fondo. E allora passando per Foro Buonaparte non cado nella tentazione di fermarmi vedendo a un centinaio di metri l'arrivo. Guardo solo avanti, maledicendo i lastroni di marmo che ornano la strada, saltando le rotaie dei tram che sembrano degli ostacoli, sorridendo ai bambini che aspettano i loro papà-campioni. E non mi godo nemmeno questo nuovo passaggio in Centro Città, ben diverso dal vecchio percorso in circonvallazione. Di sicuro più lento e tecnico, ma decisamente più bello ed emozionante. Un applauso agli organizzatori.


Si ringrazia SVF Società Fotografica Vigevanese per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

Dopo Piazzale Cadorna mi aspetta la parte più dura che porta verso Viale Washington, il rettilineo che sembra non finire mai. Mi supera Lorenzo, che prova ad incoraggiarmi, ma non ne ho davvero più. Il passo diminuisce ancora di 10". La tentazione di fermarsi alla prima stazione della metropolitana è sempre più forte. Ma caracollando da una gamba all'altra avanzo. Mi aggrappo all'unico pensiero che mi può portare fino alla fine, cercando di non ascoltare i mille dolori e fastidi che il corpo mi manda. Le gambe stanno sempre peggio, svuotate completamente di tutto quello che avevo. Un giorno di digiuno e il virus hanno decisamente lasciato il segno. Ho provato a recuperare il più possibile, ma evidentemente non è bastato.

Anche la speranza di restare sotto le tre ore crolla quanto il gruppo al seguito dei pacers mi supera proprio lungo il cambio dell'ultima staffetta. Sono in pochissimi e arriveranno ancora in meno. Mentre sfilo lungo le transenne incrocio Baldini che si sta scaldando insieme a qualche amico e che ci guarda sfilare. Chi l'avrebbe mai pensato anche solo qualche anno fa? Io al di qua a correre, lui a farci da spettatore. Il bello della corsa.
Mi trascino come posso. Le gambe sono ormai rigide, segnate dai chilometri e dal ritmo basso. Passando in Amendola-Fiera riconosco i punti in cui lo scorso anno mi ero dovuto fermare a tirare le gambe per i crampi. Provo a reagire e ad aumentare il passo. Ormai la strada è segnata, l'ho percorsa solo due settimane fa alla Stramilano e sembra tutto più facile. Ma è tutta pura fantasia. Quando provo a cambiare ritmo il corpo non ci sta e mi dice di stare tranquillo.
Le fila sono molto lunghe, abbiamo più di qualche metro abbondante tra uno e l'altro. Il sole comincia anche ad essere piuttosto insistente e fastidioso. Ogni due chilometri non rinuncio ad acqua e spugnaggi. Anche l'ultimo punto in cui avrei potuto cedere alla tentazione del ritro però è andato e non resta che arrivare per la seconda volta in Corso Sempione e poi in al Castello. Posso solo aggrapparmi al pensiero di farcela comunque.
Intorno al 38 Km vedo Noemi Gizzy che prima mi affianca e poi mi sopravanza di qualche metro. Il saluto che ci scambiamo è quasi silenzioso da quanta è la fatica. La seguo, a distanza, alzando lo sguardo di tanto in tanto verso l'Arco della Pace, odiando i tratti sconnesi che attraversano il viale, provando a sorridere a quelli che ci vedono passare assiepati agli incroci. Plinio (Presidente della Martesana Corse, nda) mi affianca al 39 Km e corre con me fino all'arrivo. Lui parla io corro. E penso a quanto ci sarà poco più avanti. Penso a cosa mi sarei perso se mi fossi fermato, se mi fossi arreso. Vorrei anche sorridere perchè i chilometri da dodici sono diventati solo due. E poi uno. E poi ho avuto in mano quella bandiera da portare sotto l'arrivo. Non importa se in 3h 07' 18". Questa volta valeva la pena solamente farlo.

Poi ho ritrovato Chiara e Franco all'arrivo, e Alfredo, Michele, Simone, Giessica (che neanche avevo riconosciuto da quanto ero stravolto) Paolo e tantissimi altri followers del sito che mi hanno salutato. E io vi ringrazio tutti. Davvero. Non sapete quanto fa piacere sentirsi dire "ti seguo sempre". Uno stimolo a fare sempre di più e sempre meglio. Ho visto arrivare Rocco, in lacrime, tagliare il traguardo e piangere come un bambino. Emozionato, distrutto. Il suo abbraccio sfinito mi ha fatto capire più di ogni altra cosa quello che ognuno di noi prova lungo quei quarantaduechilometriecentonovantacinquemetri. Ed ho visto una città di corsa in festa, con centinaia di cartelli e bandiere, di sorrisi e di abbracci. Il bello è essere stato parte del tutto, che sia maratona o staffetta o pubblico o staff. È stato bello. Ma più di ogni altra cosa è stato bello farlo per Markiyan.

La nostra Raccolta Fondi, CORRO per AiCRA, non si ferma certo qui. Andremo avanti fino al primo compleanno di Markiyan il 12 giugno. Quindi donate, spargete la voce, aiutateci. Io sono sempre qui pronto ad accettare la sfida per raddoppiare i nostri sforzi. In una mezza, un diecimila o qualsiasi altra gara ci potrà essere. Ci vuole solo uno sponsor che abbia la capacità, ma soprattutto la voglia di provarci. E grazie ancora... a Markiyan ed AiCRA.