Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti, per personalizzare i contenuti e gli annunci, fornire le funzioni dei social-media e analizzare il traffico generato. Continuando a navigare in questo sito web acconsenti all'uso dei cookies.

Mezza Maratona di Sant'Antonio (Padova)

Un buon inizio. Mi ero iscritto alla mezza della Maratona di Sant'Antonio a Padova per sfruttare la corsa come allenamento accompagnando Chiara alla sua gara, quella con la G maiuscola. Non ho mai avuto intenzione di rincorrere il cronometro o di fare un qualsiasi risultato strabiliante. Sapevo solo di poter correre a sensazione, senza programmarmi. Sentire il ritmo nelle gambe, ascoltare i segnali del corpo durante la corsa, usare il buon senso. E ne è uscita una conduzione di corsa perfetta. Mi è sembrato quasi di correre col paraocchi concentrato solo su quanto stavo facendo lì in quel momento. Immerso in una dimensione personale seguendo una sola lunga dritta linea bianca che andava dalla partenza fino all'arrivo.

In effetti è stata una corsa strana. Emotivamente. Saper di poter dare ma senza sapere quanto. Correre con la consapevolezza che la benzina potrebbe finire da un momento all'altro. Non mi era mai successo. E comunque poi alla fine non è accaduto. Chiara era già partita per il suo viaggio lungo quarantadue chilometri quando ci siamo messi in griglia. Strano ritrovarsi lì davanti senza sapere dove posizionarsi per non rimanere imbottigliato in partenza, ma neanche essere d'intralcio. Sotto allo stesso gonfiabile, ma in senso contrario, un'ora prima erano passati tutti maratoneti.

Qualche rara goccia è cominciata a cadere poco prima dello sparo, ma la temperatura è rimasta ideale per tutta la gara. Sfilando in mezzo alle case di Camposampiero il primo chilometro è volato in un attimo (3' 39") e ci siamo subito ritrovati sulla strada che porta a Padova. Una lunga dritta strada di una quindicina di chilometri, simile a quanto già fatto da Palmanova ad Aquileia un mesetto fa. Sono state le gambe a scegliere l'andatura ad ogni chilometro. Sapevo che non avrei potuto reggere per i 21 Km a quel ritmo dato che è lo stesso tenuto due settimane fa a Trieste, ma non mi sono preoccupato più di tanto. Ho scalato qualche posizione e dopo i primi quattro chilometri da sole hanno trovato la loro andatura naturale (3' 53"). Nel frattempo avevamo già fatto il pieno di pioggia con due brevi scrosci che ci hanno lavato da capo a piedi. Gli occhiali avrei potuto lasciarli nella borsa visto il clima, ma ho preferito averli in caso il cielo si fosse aperto e avessimo avuto per tutto il tempo il sole in faccia. Cosa che in realtà non è mai successa. Ma sono stati un elemento importante per il resto della gara. Oltre a riparare gli occhi nei momenti di pioggia intensa hanno creato un'atmosfera personale in cui mi sono sentito quasi imprigionato. La mente è stata impegnata costantemente a controllare il ritmo e le distrazioni lungo il percorso sono state sfuocate dalle lenti scure rigate dalle gocce di pioggia. La strada stretta e dritta che ha solo sfiorato qualche paese ha fatto il resto. Ho macinato i chilometri a ritmo costante aiutato dall'assenza di curve e di un qualsiasi lieve dislivello. Ad ogni intermedio il ritmo è rimasto costante, preciso. E la fiducia è aumentata passo dopo passo.

A Campodarsego, partenza della maratona, mi sono come risvegliato per la prima volta. Ennesima e pesante doccia prima di entrare in paese. Ma il pubblico ci ha riscaldato emotivamente. Tanti applausi soprattutto per i maratoneti che, al loro trentesimo chilometro (per noi l'ottavo, nda), entravano sul nostro stesso percorso per correre insieme il tratto finale fino a Prato della Valle in centro a Padova. Sapevo che Chiara era già passata da qualche minuto. Se i nostri calcoli fossero stati esatti e le andature rispettate ci saremmo rivisti solo nel finale. Nonostante la maggior parte del percorso corresse fuori città il pubblico è sempre stato presente e rumoroso, tenendo poi conto anche della giornata di pioggia. Ed ho cominciato ad accorgemene proprio da quel punto in poi togliendomi gli occhiali ormai appannati dalla troppa differenza di temperatura tra il corpo accaldato e l'aria fredda. La strada è proseguita dritta. Imperterrita. Gli intemedi sono arrivati cadenzati, quasi monotoni, ogni 3' 53" circa. Sentivo nelle gambe l'arrivo dei mille metri successivi e alzando la testa vedevo già in lontananza il cartello del chilometraggio. E passato il decimo ho preso più fiducia di prima. Mi sentivo bene, forse un po' infreddolito da scarpe, canotta e pantaloncini fradici, ma bene. Sentivo il ritmo nelle gambe, sentivo la fiducia nella testa. Sapevo che sarei potuto arrivare alla fine.

Nei successivi quattro chilometri prima di arrivare al fiume Brenta sono ricaduto nel mio precedente stato di assopimento mentale. Solo il ritmo cadenzato di ogni passo e nient'altro. Il bip del gps, i cartelli che si susseguivano. Pubblico ancora tanto, ma come se non ci fosse. Questa volta a svegliarmi di soprassalto ci hanno pensato Silvia, Simone e Linda e Azzurra, le nipotine di Chiara. Una scossa improvvisa, uno scarico di adrenalina che inconsapevolmente mi ha fatto aumentare il passo di colpo. Me ne sono accorto subito ma ancora una volta sono state le gambe a comandare sul resto. E la consapevolezza, urlata al vento (da loro) che Chiara fosse avanti di soli tre minuti. Sette i chilometri all'arrivo. Trenta i secondi che ci separavano ad ogni chilometro. Se avessimo continuato con lo stesso passo ci saremmo potuti ritrovare per gli ultimi mille metri finali.

Involontariamente ho cominciato a guardare davanti a me per riconoscere in lontananza la divisa giallo-blu di Corro Ergo Sum. Ma sapevo che era ancora presto. Ma intanto le prime via di Padova hanno cominciato ad essere alle nostre spalle. La fatica è cresciuta col ritmo, un po' più veloce (3' 49"), ma le gambe non hanno voluto saperne di diminuire. Sinceramente ne sono rimasto stupito. Non appena le rotaie del tram hanno affiancato la carreggiata asfaltata ho iniziato a seguire il mio binario personale sfruttando il grip del cemento piuttosto che continuare a scivolare leggermente sulla strada bagnata. Nonostante diciassettesimo e diciottesimo chilometro solitamente siano i due chilometri cruciali nella mezza maratona, il ritmo non ne ha risentito. Forse perchè stavo rincorrendo virtualmente Chiara, forse perchè non vedevo l'ora di arrivare alla fine, forse perchè ero anche incuriosito di sapere dove fossi potuto arrivare. E infatti poco prima del dicannovesimo chilometro l'ho vista avanti ad un piccolo gruppo di maratoneti. L'ho rincorsa e raggiunta nel giro di qualche minuto, ma non ho saputo dirle più di un forza non mollare per allontanarmi poi subito. Fiducioso anche che il vedermi e avermi davanti potesse in qualche modo spronarla. Ma proprio poco dopo ho scoperto che iniziava la parte di tracciato più difficile di tutto il percorso, i tre chilometri finali.

L'incubo per runner, e ancor più per un un maratoneta, è ritrovarsi una dura salita nel finale. L'ho provato sulla mia pelle alla maratona di Reggio Emilia. E Padova non è stata da meno. Il cavalcavia che scavalca la stazione sembra innocuo ma nasconde più insidie di quanto possa sembrare. Una lenta lunga costante salita. Le mie gambe si sono impallate all'istante. Non ho potuto che pensare subito a chi stava dietro di me, ma con ventuno chilometri in più nelle gambe. Ho cercato di tenere il ritmo (invano) e poi di sciogliere subito le cosce nel tratto di discesa, ma ancora senza successo. Il crono ne ha subito risentito con dieci secondi in più (3' 58"). Ma non è bastato. Subito dopo c'è stato il bellissimo, quanto pesante, passaggio nel centro pedonale dove l'asfalto lascia spazio ai sanpietrini. La strada dritta non c'è più, ma solo un continuo slalomeggiare tra piccole piazze ornate da eleganti palazzi d'epoca e stretti vicoli accompagnati da porticati. Il pubblico è tanto e rumoroso. Ma non è bastato ad alleviare la fatica delle gambe. Ho provato a distrarmi guardandomi intorno, ma ho preferito riconcentrarmi sulla corsa contando il tempo che mi separava dall'ultimo intermedio. Ho perso l'orientamento svoltando prima a destra poi a sinistra, attraversando piazzette e sfiorando transenne, fino a quando ho intravisto da lontano le statue e gli alberi di Prato della Valle. Un ultimo sforzo. Il pubblico è aumentato ad ogni metro, accompagnando praticamente tutto l'ultimo chilometro. Ma la mente era ritornata ancora una volta lontana. Ho rincorso il gonfiabile dell'arrivo sfilando lungo la strada che abbraccia la piazza quasi sorpreso di essere arrivato. Sentivo gli applausi e gli incitamente del pubblico ma come ovattati, lontani, come se non fossero per me come per chiunque altro. Ma quella era solo la mia gara e volevo solo sapere (o avere la conferma) ancora una volta da dove ripartire, 1h 21' 28".

Il cronometro dei quarantadue chilometri segnava 3h 06'. Mi sono fermato poco dopo il gonfiabile aspettando di vedere sbucare il giallo-blu di Chiara da dietro l'angolo. E i secondi sono sembrati minuti. Più il mio respiro diminuiva più i secondi sembravano aumentare. Fino a quando l'attesa è finita. Mi sono fatto largo tra gli atleti che tagliavano il traguardo per farmi riconoscere e anche il suo cronometro si è fermato, ma con un nuovo personale, 3h 09' 05".