Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti, per personalizzare i contenuti e gli annunci, fornire le funzioni dei social-media e analizzare il traffico generato. Continuando a navigare in questo sito web acconsenti all'uso dei cookies.

Corro quando voglio

Volere è potere. Su questo non si discute. E la corsa dovrebbe essere una sfida. Prima dai tutto con sé stessi, soprattutto quando si tratta di amatori. Ma troppo spesso ce lo scordiamo, cercando negli altri avversari da battere, quando invece dovremmo solo vedere dei compagni da imitare o incitare.

Non corro più come una volta. Ci sto provando, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo prima di ritornare. Soprattutto non lo sto facendo con la stessa intensità e con lo stesso numero di chilometri. Chi mi vedesse correre ora rivedrebbe il me di quasi una decina di anni fa, con un peso diverso, un ritmo diverso, una corsa diversa. E probabilmente, guardandomi solamente, sbaglierebbe a giudicarmi. Come runner.

La vera differenza da allora l’hanno fatta i chilometri che ho corso, le esperienze che ho vissuto, la fatica che ho sofferto. Ho imparato a guardare la strada con occhi diversi, meno assetati di secondi e la voglia di fare bene con calma. Con un sorriso pronto a incitare chi ho incontrato in difficoltà e un applauso a chi ha saputo battermi o verso chi non sono mai riuscito a raggiungere. 

Oggi mi accontento (momentaneamente) di correre per stare bene, ma sempre con l’obiettivo di arrivare più in là. E magari anche oltre. Non è facile farlo ritornando su strade già percorse, ma non c’è altro modo. Ma allo stesso tempo sono anche consapevole di quello che ho fatto, degli errori che ho commesso, dei limiti verso cui posso spingermi e soprattutto di quello che sono stato. Mi piace guardarmi attorno e rivedermi negli allenamenti lungo l’alzaia di tanti runner-novelli che si imbattono nei primi caldi. Studio i loro movimenti, analizzo il loro passo, la loro postura, grazie a tutto quello che ho imparato (e sto imparando ancora, non si smette mai) in prima persona in questi anni. 

Una cosa che faccio sempre (tranne quelle volte in cui la mente vaga abbandonando il corpo per qualche minuto) è salutare chi incrocio, chi incontro, chi supero o mi sorpassa a sua volta. Non sempre c’è una risposta. Qualcuno non ci fa nemmeno caso, qualcuno è colto di sorpresa, qualcuno lo apprezza. Ma c’è anche sempre qualcuno che va oltre. 

Ieri sono tornato lungo il Naviglio dopo qualche giorno di assenza. Ultimamente non ho sempre gli stessi orari e incontro sempre persone diverse. Andavo al piccolo trotto, con ancora le gambe stanche e indolenzite dagli ultimi allenamenti di ciclismo. Dopo qualche chilometro ho sentito qualcuno avvicinarsi, affiancarmi e superarmi. Mi sono voltato quando l’ho avuto a fianco, gli ho sorriso e l’ho salutato. Dall’altra parte il nulla. Un aumento repentino di passo per staccarmi. Il primo impulso è stato quello di rispondere, quasi come un affronto. Ma non l’ho fatto subito. Ho lasciato passare qualche minuto, dando tempo alle gambe di scaldarsi e poi ho aumentato il ritmo. Mi sono rifatto sotto, affiancandolo e sorpassandolo, senza dimenticare un cenno con la mano. Ma la sua risposta è stata di nuovo sbagliata... “Lo faccio quando voglio"

Non ci siamo più visti, se non quando ho invertito il senso di marcia per tornare a casa. Questa volta nessun cenno da nessuna parte. Solo l’amarezza di aver incontrato un avversario e non un nuovo amico di corsa. Sarebbe bastato un sorriso, anche solo per vivere la nostra piccola sfida in maniera diversa. Non basta correre per saperlo fare.