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Disastrosa We for Women Marathon

Un percorso affascinante per chi ama Milano e il suo hinterland. Unico. Diciannove chilometri praticamente dritti da San Babila, attraversando i lunghi viali di Sesto e Monza, fino al suo Parco. Altrettanti, e qualcosa in più, quelli ancora da percorrere tra alberi e autodromo per chi ha scelto i quarantadue. Si riduce a questo ciò che di bello abbiamo scoperto correndo la We for Women Marathon, mezza e maratona (agonistiche, più una cinque e dieci chilometri non competitive) organizzata contro la violenza sulle donne. Ma i buoni propositi passano in secondo piano, quando tutto quello su cui si fondano fa acqua in ogni dove.

Saranno contenti quelli che maratone e mezze le sanno davvero organizzare. Neanche nella più amatoriale delle gare di paese ho mai trovato un’(dis)organizzazione così impreparata. Ma prima di concentrarmi sule disavventure preferisco raccontare quello che di bello ho vissuto. Sarà che amo Milano e sono particolarmente affezionato anche a Monza e al suo Parco, ma partire da centro città, attraversare Corso Venezia, Corso Buenos Aires, Viale Monza era un sogno che avevo sempre avuto. Li ho sempre visti come i viali perfetti per correre. Dritti e larghi, pronti a ospitare e sospingere le migliaia di runners nei loro primi chilometri. E finalmente li ho potuti cavalcare. Peccato che il rumore dei passi fosse solo un tip-tap soffuso ed echeggiante come nel più arido dei deserti. Percorso veloce, anche se in impercettibile salita, disegnato per tempi da record. Pochissime curve, anche fuori città, e ampi spazi. Come i tracciati di una volta, quasi a rimembrare i tempi passati in cui gli italiani guidavano il mondo dei maratoneti.

Prima parte veloce, ma seconda parte molto tecnica. Ho ormai imparato a conoscere bene il Parco di Monza e so che non è facile correrci. Tante variazioni, tratti con curve e controcurve, salitelle, sterrati. Un percorso che premia solo chi è davvero pronto. Ma affascinante come e forse ancora di più di ciò che l’ha preceduto. Soprattutto col suo carico di runners domenicali a solcare vicoli e sentieri. Ho sofferto, non lo nego, ma una sofferenza dolce. Quella della fatica, del sudore, dell’allenamento. Fortunatamente non avevo in programma di arrivare al traguardo, perché probabilmente la delusione per un’occasione (d’oro) sprecata, non sarei riuscito a digerirla.

Ma passiamo a tutto ciò che non è andato. Il resto. Parto dalla teoria. Numeri di partecipazione inventati (preciso che non ho dati ufficiali sulle non competitive). In Piazza San Babila al via poco meno di quattrocento iscritti (un centinaio quelli della maratona). Peccato che dovessero essere almeno il doppio. Come si dice, pochi ma buoni. Forse fin troppo. A poco meno di un’ora dal via nessun posto per cambiarsi (5°C la temperatura del mattino), nessun wc chimico, nessun arco di partenza, nessuno stand per la consegna delle borse. Tutto alla bell’e meglio. Ma con l’arte di arrangiarsi (e la pazienza dei podisti) è funzionato tutto bene. Quello che poi mi sono chiesto però mi è sembrato più che lecito. Ha senso bloccare i viali sopracitati (arterie principali di Milano, senza contare quelle di Sesto e Monza) per quattrocento persone? Secondo il mio modesto parere no. Ci sono già tante gare nella città meneghina e una partecipazione-flop come questa avrebbe dovuto far pensare agli (dis)organizzatori che forse le co(r)se si devono fare in altra maniera.

Procedo cronologicamente correndo. Gare (ventuno e quarantadue chilometri) FIDAL. Inserite nel calendario ufficiale regionale. A quanto ne so (e ne so), la FIDAL ha iniziato una “battaglia” per fare in modo che proprio dal 2016 le corse ragionali e nazionali siano organizzate solo sotto la propria egida. Com’è possibile che proprio una nuova corsa inserita nel loro calendario sia risultata fuori da ogni ragionevole schema? Evito di parlare delle distanze ufficiali misurate dai gps (anche se un percorso completamente dritto ha poco da poter lamentare in termini di precisione satellitare). Ma i minimi requisiti che qualsiasi altra corsa federale rispetta per quale motivo non erano presenti?

Misurazione del percorso. Il primo cartello (in formato A4, attaccato ad un palo della luce) con il conteggio chilometrico l’ho visto al dodicesimo chilometro, già a Monza. Probabilmente anche i precedenti erano presenti, ma io non me ne sono accorto. Va bene, tutti con il gps sapevano esattamente dove si trovavano, ma, per quanto mi ricordo, il regolamento parla differentemente. Ristori. Ogni cinque chilometri. A me sono sembrati più quattro o sei e mezzo. Ok, non è morto nessuno disidratato, ma anche qui il regolamento dice cose diverse. Tenendo conto poi che dal ventunesimo chilometro io non ne ho più trovato nessuno fino a quando mi sono ritirato al trentaquattresimo. E parlo semplicemente di acqua, non di sali (assolutamente assenti). Spugnaggi. Dal quinto chilometro e mezzo ogni cinque chilometri. Neanche l’ombra. Faceva freddo e anche su questo si può chiudere un occhio, ma... Controlli. Nessun lettore di chip e nessun addetto alla verifica degli intermedi, dal primo a trentunesimo chilometro. Certamente l’onestà dovrebbe essere la prima caratteristica di ogni runner. Ma sappiamo benissimo, per esperienza, che non è così. Indicazioni e segnalazioni di percorso. Anche questa fatte con fogli A4 attaccati su pali e alberi. Passi per la prima parte in strada in cui sarebbe stato difficile sbagliare direzione data anche al presenza di addetti e vigili urbani, ma all’interno del parco chiunque (e più di uno) si sarebbe potuto perdere (e qui raccolgo anche le lamentele degli amatori sui cinque e dieci chilometri). Discorso che riprenderò più avanti.

Ma veniamo alla vera nota dolente. E questa in tanti anni che corro e seguo gare è la prima volta che mi succede. Arrivato a Monza, poco dopo il quattordicesimo chilometro, abbiamo attraversato Viale Lombardia. Un lunghissimo viale alberato a due corsie. In teoria, come promesso e scritto dall’organizzazione, tutto il tratto in cui avremmo dovuto correre, sarebbe dovuto essere interdetto al traffico nel periodo di passaggio dal primo all’ultimo concorrente. Così è stato in alcuni tratti. Così non è stato in molti altri. Proprio lungo questo viale avevo notato come il passaggio delle auto fosse abbastanza frequente. Ma, essendoci doppia carreggiata e doppia corsia, anche abbastanza sicuro. Peccato che nel punto di ristringimento poco prima di una rotonda, esattamente nel tratto in cui c’erano alcuni addetti ma non vigili urbani, un’auto è piombata alle spalle di due runners che mi stavano precedendo investendone uno in pieno (con dovuto intervento dell’ambulanza) e uno di striscio. Sono rimasto allibito. No comment.

Del fatto che una volta dentro il parco la corsa sia diventata un labirinto ho già anticipato. Fortunatamente io so orientarmici e ne conosco sentieri e viali, per cui ho sempre saputo dove mi sono trovato. Ma non per tutti è stato uguale. Oltretutto credo, intorno al ventiquattresimo chilometro, di aver sbagliato qualche deviazione ed aver tagliato involontariamente parte del percorso, perché dal chilometro successivo la corrispondenza con il chilometraggio ufficiale è completamente saltato. Poco male, visto che avevo comunque in previsione solo un lungo di allenamento di trentaquattro chilometri e che quindi non avrei raggiunto comunque il traguardo. Ma lo stesso credo sia capitato anche a molti altri, allungando o accorciando tratti di percorso. Sicuramente è successo anche al secondo e terzo arrivati (in maratona) dato che il loro tempo finale non è consequenziale al ritmo che hanno avuto in gara. Basta un rapido calcolo. Ho personalmente mantenuto un passo di 4’ 14” fino al trentaquattresimo chilometro, ritmo che mi avrebbe permesso di concludere (teoricamente) la maratona sotto le tre ore. Nel tratto che andava dal ventinovesimo chilometro al trentunesimo circa, c’era una parte di percorso di andata-ritorno in cui ci si poteva incrociare se non troppo distanti. Cosa avvenuta tra me (in seconda posizione provvisoria) e il primo classificato. Dietro di me nessuno per tre chilometri. Tradotto in secondi, circa dodici minuti, considerando un passo di 4’ al chilometro. Com’è possibile che il secondo e terzo arrivato abbiano recuperato dodici minuti in dodici chilometri (viaggiando quindi a 3’ al chilometro?) prima dell’arrivo, considerando che la parte finale di gara è stata una delle più dure di tutto il percorso con tratti di sterrato e dislivello positivo? A voi la risposta…

Ritiratomi e arrivato defaticando all’arrivo pensavo di sentire parole di scuse e mea-culpa da parte dell’organizzazione per i tanti disservizi. E invece ho solo respirato aria di festa (dagli altoparlanti). Ma malumore tra chi se ne stava andando e chi ancora si trovava negli spogliatoi. Del villaggio con intrattenimento per i più piccoli nemmeno l’ombra. Nessuno stand, nessuna animazione. Solo rassegnazione. Un lento fuggire di chi avrebbe solo voluto fare festa.

Ma la chicca finale l’ha regalata ancora una volta l’(dis)organizzazione. La pagina pubblica dell’evento su facebook si è riempita in poche ore di lamentele e messaggi di sconforto. Unico modo, a quanto pare, per riuscire a comunicare a qualcuno (di loro) il disappunto generale. Non ho letto offese. Eppure dopo qualche ora, il tutto è stato cancellato, come se nulla fosse accaduto, togliendo anche loghi e descrizioni dell’evento in corso (la trovate qui https://www.facebook.com/events/1673755796232847/?active_tab=posts). Che senso ha questo comportamento? Gli errori si possono fare e probabilmente in questo caso è stato fatto il passo più lungo della gamba. Ma basterebbe prendersi le proprie responsabilità e ammetterli. Scusandosi. Pensando, e imparando, che non ci si può improvvisare (dis)organizzatori di eventi da un giorno all’altro. Soprattutto quando le proprie mancanze possono andare a ricadere sulla salute delle persone. La sicurezza prima di tutto. Noi corriamo per stare bene e divertirci. Auto sul percorso, ristori mancanti, indicazioni latenti sono più di un capriccio. Ritrovarsi in maratona disidratati dall’altra parte del parco, da soli, è pericoloso. Perdersi tra viali isolati con 5°C in maglia e pantaloncini è pericoloso. Correre ed essere investiti alle spalle è pericoloso. Non sto parlando di medaglie non consegnate o di magliette della taglia sbagliata. Ci sono fattori che non possono essere presi sotto gamba.

Vorrei dire che tutto questo è una premessa, ma mi sembra troppo lunga per esserlo. Quello che manca è il racconto della mia corsa, che però va in secondo piano rispetto a tutto il resto. Ma sono comunque contento di come sia andata. Un buon allenamento in vista della Maratona di Milano. E dopo questa esperienza, sono curioso di sapere chi ancora ha di lamentarsi della sua organizzazione. 34 Km che sono diventati 36 Km grazie al defaticamento per rientrare verso l’arrivo. I viali lunghi e dritti (che ho poi scoperto essere addirittura in leggera salita fino al Parco di Monza) mi hanno fatto spingere un po’ di più nella prima parte, mentre la tortuosità del parco mi ha un po’ rallentato nel finale. Ma sono contento. Avrei dovuto correre dieci chilometri di lento a 4’ 30”, i seguenti venti a 4’ 10” e gli ultimi quattro a 4’ 00”. Il tempo guadagnato ad inizio gara sfilando tra i palazzi di Milano l’ho usato per mantenere la media di allenamento dopo il ventiseiesimo chilometro. Otto chilometri davvero difficili fino a quando non mi sono fermato. Prima la pesante salita sul Viale di Vedano per svoltare sul sottopassaggio che passa sotto la vecchia parabolica. Un chilometro di sofferenza che mi ha completamente tagliato le gambe. Senza contare il tratto corso sulla vecchia pista avanti-e-indietro e i successivi passaggi sui sentieri sterrati tra ciottoli e pozzanghere. Le gambe non si sono più riprese, ma sono contento di come sia andata. Nel finale ho sofferto un po’ il freddo quando il ritmo è rallentato, ma viste le condizioni generali credo sia comunque stato un buon allenamento.

Prima di fermarmi, avevo anche fatto un pensiero (sapendo di essere in seconda posizione e di avere un buon vantaggio) per continuare fino al traguardo rallentando leggermente il ritmo. Ma ho preferito desistere ed evitare altri inutili possibili infortuni in vista della Maratona di Milano. L’importante è essermi divertito, anche se tutto quello raccontato mi lascia un po’ di amaro in bocca. Sarebbe bello che tutti imparassero a non volere troppo. E non sto parlando di chi corre. È inutile lanciare messaggi di pace-e-amore se poi manca il rispetto basilare per la persona. Uomo o donna che sia.