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Doping che la forma se ne è andata

Non posso esimermi dal continuo pensare a come ritornare al più presto in forma. E proprio oggi ritorna alla ribalta il caso Schwazer, velato da un più che sospettoso mistero dopo gli elogi elargiti nelle ultime settimane da addetti e giornali. Strade lunghe e vie brevi che si intrecciano creando un profondo solco in quello che dovrebbe essere solo sport e divertimento. Cosa fa la differenza in un campione?

Perchè nel mio piccolo anche io so cosa voglia dire non riuscire più a tornare ai livelli di forma sperati. Lavorare, sudare, soffrire (senza farlo di lavoro) e non capire dove si sbaglia e come ritornare a gareggiare prima di tutto con sè stessi. Alla fine è dal 2012 che mezza e maratona sono rimasti traguardi quasi impossibili (con oltretutto le ultime due maratone martoriate dagli infortuni e nemmeno portate a termine). Ci sono andato vicino tante volte, ma senza più riuscirci. Ma è il bello di chi lo fa per divertirsi. La parte brutta è quella legata agli infortuni, al non riuscirsi allenare bene, al non riuscire a districarsi tra corsa e impegni quotidiani. Diverso da quello che fa un professionista. Ma che forse, in certi casi, dovrebbe provare a pensare quale sia la fortuna che l'ha toccato. Basta guardare Re Giorgio Calcaterra.

Quello che non mi torna in questa nuovo caso-doping di Schwazer è presto detto. L'ho già scritto chiaramente in mattinata sui social (twitter e facebook). Ci sono punti non chiari, legati ai giornali, alle tempistiche, alle federazioni, alle analisi e alla sua persona. Non mi è chiaro come sia possibile che la notizia (in incubatrice da giorni) esca proprio in orario perfetto per essere sbattuta in prima pagina sui principali quotidiani (soprattutto sportivi). Che poi come al solito buttano il sasso ma nascondono la mano. Titoli che ingannano il lettore. Parole parole ma alla fine non è ancora chiaro come e cosa sia successo. Però neanche un articolo sulle medaglie d'oro ai campionati mondiali di corsa in montagna (grazie a Silvia per la segnalazione). Per non parlare di agenzie e federazioni (IAAF e WADA in questo caso) che fanno analisi che a distanza di mesi passano da negative a positive. Così fosse, la stessa cosa dovrebbe essere fatta su tutti. Quanti improvvisamente diventerebbero dopati? E poi perchè analizzare più approfonditamente dei fattori che non rientrano minimamente tra quelli per cui era stata assegnata la squalifica di tre anni a Schwazer? Non vorrei che mi si dica che a questo punto lo sto difendendo. Io sono sempre stato uno dei primi ad essere contro la sua riammissione in nazionale (e più ancora nella pratica sportiva). Non mi è molto chiaro per quale motivo un atleta che non si dopa più, ogni settimana si rechi in ospedale per rifare le analisi che dimostrano la sua non-positività. Vanno bene i controlli a sorpresa delle federazioni, ma non è che cercasse magari di verificare che ciò che stava nascondendo (il nuovo doping) rimanesse veramente celato anche dalle analisi ufficiali?

E' vero, a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, come diceva il caro Giulio. Quello per cui non si fa peccato è accettarsi per quello che si è. Che non vuol dire arrendersi o non pensare a migliorarsi. Semplicemente fare i conti con sè stessi. Con l'età, con gli acciacchi, con la sfortuna. Che senso avrebbe un nuovo pb se conquistato barando? E' il solito discorso venuto alla ribalta nelle ultime settimane dopo i casi di doping-motorizzato alla cento chilometri del Passatore. Alla fine lo specchio ti farà sempre vedere la verità. Ed allo specchio mi sto guardando in questi giorni. Con qualche chilo in più (verificherò la situazione a luglio con l'inizio della preparazione), con la schiena che non dà tregua e la stanchezza che sembra non volermi abbandonare. Ma sempre con la possibilità di guardare avanti, di sognare quella maratona sotto i quattro al chilometro che ormai aspetto da tempo, di trovare sempre nuovi stimoli per uscire a correre anche quando fuori piove o la voglia non è tanta. 

Lo stesso che sto facendo in questi giorni in trasferta in terra triestina. Col caldo che arriva sarà ancora più difficile. O forse anche solo più bello. Io guardo avanti, alle prime gare di settembre in cui indossare il pettorale darà senso ai prossimi mesi di sacrifici, alla Maratona di Firenze ancora tanto lontana ma fin troppo vicina per come la sogno, alle prime corse con Chiara con Tommaso che ci guarderà incuriosito o solo annoiato. Ma è questa la benzina che dà forza alle nostre gambe. Quello che ci fa amare la corsa (e lo sport in generale) anche quando le cose si fanno più difficili. Quasi impossibili. La differenza tra un campione e chi non lo è mai stato.