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In-seguendo la Maratonina del Collio

E' difficile raccontare una gara senza esserne dentro, senza averci lasciato energia e sudore, senza aver goduto di quanto potesse offire, senza averla vissuta ma solo vista passare. E' difficile anche trovarsi al via con piumino e macchina fotografica in mano, invece di appuntarsi le spille sul petto e preoccuparsi dei gradi che continuano a salire e l'aria che rimane ancora fresca. E' difficile stare a guardare l'emozione e la tensione che surriscaldano il pre-gara fino allo sparo dietro al gonfiabile della partenza. E' difficile non essere attratti dalle smorfie di sofferenza che cambiano da intermedio ad intermedio o non osservare con curiosità l'appoggio di chi corre veloce, il cambio di postura, le gambe che ogni volta macinano più chilometri. E' difficile non pensare "io forse sarei qui", "questo me lo potrei mangiare", "ma corro davvero così piano?". E' la vita del maratoneta che guarda. Che pensa. Che sogna. Che spera la prossima volta anche solo di esserci dentro.

Chiara, Marco, Simone e Silvia alla Maratonina del Collio.

E da fuori posso solo raccontare quello che ho sentito e visto. Una Maratonina del Collio alla prima edizione ma con una gran partecipazione e una buona organizzazione. Un percorso quasi ideale che sale escende dalle colline friulane sfiorandole appena. Un primo anello di cinque chilometri per ritornare alla partenza da ripercorrere anche nel finale di gara e dieci chilometri che girano attorno ai piccoli paesi disposti lungo la ferrovia. Ottimo per chi guarda e non deve solo aspettare la fine della corsa, ottimo per chi organizza e può sfruttare al meglio i volontari sulle strade, ottimo per chi corre e sa cosa lo aspetta nei passaggi successivi, ma senza la monotonia dei circuiti a ripetizione.

Tanti gli spazi a disposizione, dalla partenza al dopo-gara, alle strade praticamente quasi sgombre d'auto nonostante sia già domenica mattina inoltrata. Se poi è anche il tempo ad essere alleato, tutto più facile. Difficile invece riconoscere il livello dei protagonisti prima del via. Facce conosciute (da me) poche e non ci si può fidare certo dell'apparenza, che nel running inganna più che in ogni altra situazione. Si può essere praticamente certi che il giovincello tecnologico, firmato e bello da vedere che corre avanti e indietro nel riscaldamento arriverà dopo quel signore di mezza età, magrolino, con canotta e pantaloncini un po' consumati. Sempre così. E' lo sparo a svelare i segreti.

Il primo gruppo che si stacca è di cinque o sei atleti. Ritmo intorno ai 3' 30" al chilometro. Pochi italiani, qualche sloveno e qualche austriaco. Siamo in terra di confine. Dietro il vulgus, ognuno col suo ritmo. Qualcuno che parte troppo forte e a metà gara ne sarà pentito, qualcuno che segue il cronometro come fosse la sua unica guida, qualcuni più rilassato, per godersi la giornata. Chiara è poco dietro le prime donne, ma ci mette sempre un po' di più per scaldarsi. Marco, alla ricerca del personale, è scortato dai compagni di squadra di Gorizia. Simone e Silvia chiudono invece il gruppone senza cercare troppo agonismo.

Dopo il primo giro di cinque chilometri le facce sono già sofferenti. Incredibile come da fuori si riesca quasi a percepire come andrà a finire. Io non ho visto lunghi tratti di percorso, ma le poche postazioni che ho trovato sono sempre state piene di sali-scendi e curve prima a destra poi a sinistra, con anche qualche piccolo tratto di sterrato, ma ben battuto. Vedendo arrivare i primi in lontananza attraverso lo stretto viale alberato che scende dalle colline, mi sono chiesto quando le fila si sarebbero rotte, quando qualcuno avrebbe avuto o provato il sopravvento. Per le donne è invece diverso. Ognuna sola col suo passo, ognuna con la sua sola corsa, ognuna circondata dal suo piccolo gruppo di anonimi accompagnatori. Ne passano quattro o cinque prima che riesca a rivedere Chiara.

Non conoscendo le strade e studiandomi la cartina all'ultimo sono comunque riuscito ad arrivare facilmente poco dopo il giro di boa, in modo da non rimanere incastrato tra incroci presidiati e il passaggio degli atleti. Il tempo di parcheggiare, neanche troppo lontano, e i primi si sono presentati subito all'appuntamento. Il sudore già rappreso sulle maglie e il passo incerto di chi non riesce più a tenere il ritmo. La fila indiana degli inseguitori è diventata più una via lattea, costellata qua e là da nuovi arrivi. Corse scomposte, smorfie di tensione, passo pesante. Ma anche scatti atletici di chi è più informa, saluti per chi viene riconosciuto da amici e conoscenti, sorpassi prima dell'ultima parte di gara. Io conto le donne per avere un riferimento certo, sperando in una rimonta di Chiara che invece mantiene la posizione, anche se terza e quarta appena di qualche minuto davanti non sarebbero irraggiungibili in tempi migliori. Non posso invece aspettare Marco, Simone e Silvia se voglio arrivare in tempo sul traguardo. Dietro-front e ritorno in auto fino al gonfiabile.

E' strano girare per le strade del Friuli Venezia Giulia (lo scrivo intero così nessuno si arrabbia se sbaglio a dire che mi trovo in Friuli e poi invece sono nelle Giulie, nda). Traffico quasi assente, paesi semi-deserti, silenzio e sole intimidito dalla calma domenicale. Una pacchia per chi è invece abituato a girare per le strade milanesi o bergamasche. Quasi non mi accorgo di aver già parcheggiato. Vado incontro ai primi sopra al ponticello dove li avevo visti passare al termine del primo breve giro. E questa volta le fila sono decisamente lunghe. L'italiano, l'unico del primo gruppetto, ha qualche metro di vantaggio sullo sloveno. Ma è più pimpante, sicuro, bello a vedersi, senza le smorfie di dolore e fatica degli inseguitori. Almeno il podio patriottico è salvo. Diversa invece la carovana che segue. Posizioni quasi invariate, ma una miriade di meccaniche di corsa da osservare. Sarebbe facile riconoscere ognuo alla distanza conoscendoli. E i pochi che ricordo li vedo e seguo con attenzione fino a quando non mi passano di fianco. La corsa è un po' come la voce, ognuno con la sua, difficile da cambiare. Aspetto anche le prime donne, con la slovena che sfila per prima fresca e composta come se 21 Km non fossero nemmeno passati sotto i suoi piedi e quando so che è il turno di Chiara mi sposto verso il traguardo per immortalare la fine. Arriva in solitaria, stanca e provata, ma con qualche minuto in meno rispetto a Dalmine. C'è ancora da lavorare, ma almeno lo sa. Quasi ogni arrivo è un trionfo, come è giusto che sia, che si sia vinta la lotta col cronometro o che si sia riusciti per la prima volta a finire una mezza maratona. O anche solo ad essere tornati finalmente a correre. Marco lo vedo in lontananza insieme ai suoi angeli-cusotdi, ma dal suo sorriso capisco che il traguardo è stato amico (il lavoro paga sempre prima o poi, nda). Come lo è stato anche con Simone e Silvia, stanchi e abbracciati ma alla fine contenti.

Vista da dentro forse sarebbe stata tutta un'altra co(r)sa. Quasi certamente. Sarebbe stata fatica e strade impervie. Sarebbe stata cambi di ritmo e avversari da raggiungere. Sarebbe stata una lotta col cronometro abbandonato negli ultimi chilometri. Sarebbe stata un'altra corsa per un podio o un secondo in meno. Sarebbe stata un sorriso sforzato prima del traguardo. Quello che ho letto dentro gli occhi di chi mi è passato davanti.