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DeeJay Ten... la prima volta

E’ stata la mia nona DeeJay Ten. Ancora una volta con Chiara, Tommaso e il nostro fidato Thule Glide. Ma questa volta è stata più una presenza che una vera corsa. Un modo per esserci comunque e raccontare dal profondo cosa significhi questa gara, allo stesso tempo tanto amata e tanto odiata. E tanto... corsa.

Quarantamila. Sono stati i partecipanti complessivi tra dieci e cinque chilometri che ieri mattina si sono dati appuntamento in Piazza Duomo insieme a Linus e a tutti i deejay della radio. Partenza ufficiale alle ore 10:00 per la prima wave (a seguire poi altre tre ondate per tutta la successiva ora). Arrivare alla partenza questa volta non è stato semplice, grazie al servizio di sicurezza dei vigili urbani che per la prima volta a Milano ho visto essere predisposto in maniera più funzionale e corretta (anche se a scapito di parcheggi più vicini alla zona di partenza e arrivo). Come già succede spesso in altre città (mi viene in mente Firenze per esempio) in occasione della maratona o di manifestazioni molto partecipate, le strade di accesso sono state bloccate all’incrocio precedente il passaggio dei runners e non direttamente sul percorso. Cosa che ha reso decisamente meno caotica e tesa l’atmosfera lungo tutto il tracciato di gara. Speriamo che la stessa tecnica venga usata anche in altre occasioni. 

Pur partendo con largo anticipo, siamo arrivati sulla linea di partenza che i primi trentamila runners erano già partiti, colorando le strade di Milano di verde acqua, come se i Navigli si fossero rimpossessati della città. Poco male. Il bello della DeeJay Ten è anche che non esistono primi o ultimi, forti o deboli, tapascioni o campioni, ma solo runners che vogliono correre per divertirsi e passare una mattina nel segno dello sport. Ho aspettato il posizionamento della seconda wave e l’ennesimo via del Trio Medusa per immortalare la partenza della stessa gara. Come un dolce deja vu che dà a tutti la possibilità di esserci e che dà a tutti la possibilità di provarci.

Il nostro via è invece arrivato con la terza ondata, scaldati dal calore e dalla musica della radio, senza la frenesia di un cronometro che questa volta non è nemmeno partito. Tommaso avrebbe voluto correre forte, sorpassando tutti e rispondendo ai saluti increduli di chi lo avrebbe visto passare, ma la mia schiena, almeno per questa volta, ha preferito dedicarsi ad una semplice presenza indolore a bordo strada. E lì ho visto (e vissuto) quello che sfugge quando le gambe girano più forte e la testa è occupata a compensare la fatica. Li ho visto (vissuto) cosa sia davvero la DeeJay Ten.

A casa ho ancora la maglia smanicata della mia prima partecipazione. Quella nera, con il numero di pettorale stampato sul tessuto. Si correva in zona San Siro. Eravamo forse mille o mille-e-cinquecento. Lo stesso numero che ieri forse era occupato semplicemente nell’organizzazione. La maggior parte runners da gara. Il Trio Medusa sfilava nella cinque chilometri non competitiva e si sfidava con Linus in gare improponibili. Oggi è tutto cambiato. La corsa non è più contro un cronometro che corre all’impazzata (anche se tutti poi, a loro modo, vogliono sempre arrivare primi). Non c’è più odore di canfora, non c’è più la frenesia di essere in prima fila, non c’è più quel silenzio rotto solo dal rumore dei passi. 

Ci siamo sentiti parte di una grande festa. Lungo le strade la musica della radio ha accompagnato e sospinto tutti dal primo all’ultimo metro. Sia chi era arrivato con l’intenzione di tornare a casa con il proprio personal best, sia chi in compagnia di moglie e figli ha voluto solo esserci per una lunga camminata in compagnia. Le ondate si sono mischiate strada facendo, come le onde del mare si fondono e si rinforzano prima di raggiungere la riva. Difficile trovare qualcuno che corresse in solitaria. Coppie di fidanzati che si tenevano per mano, gruppi di amici con le parrucche colorate, mamme e papà intenti a rincorrere i figli troppo giovani e troppo veloci per risparmiare le forze prima dell’arrivo. Fatica che è cresciuta subito poco dopo il via, ma che ha lasciato posto a emozioni e abbracci man mano che i chilometri sono aumentati. Ho provato ad immaginare in quanti mi superassero senza aver mai corso prima dieci chilometri, affidando a Linus e alla fortuna, la loro prima volta. Ho provato ad immaginare in quanti la sera prima fossero emozionati e tesi di ritrovarsi per la prima volta sotto la linea di partenza, come fosse una maratona. Ho provato ad immaginare in quanti, anche una volta tagliato il traguardo, non si fermeranno più. 

Perché si può amare e odiare Radio DeeJay. Si può amare o odiare Linus. Si può amare o odiare la DeeJay Ten. Ma non bisogna mai dimenticarsi di quella prima volta in cui tutti ci siamo trovati con un pettorale appuntato su una maglia e abbiamo lasciato correre le gambe. Quella prima volta che, ormai, nemmeno io, so più qual è.