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Rincorrendo il sole alla Chase the Sun

Un anno fa si concludeva il mio primo progetto su due ruote, The Bicycle Rise, una sfida lunga quattro mesi per imparare a pedalare e ritornare a correre. Un viaggio inseguendo il sole attraversando l'Italia, da est a ovest, dal Tirreno all'Adriatico. Un sogno chiamato Chase The Sun. Ecco il racconto.

Mi rivedo spesso lungo quella salita che è sembrata infinita. Curve e controcurve a nascondere la strada, boschi di querce e frassini a perdita d'occhio, unici testimoni della nostra impresa. Il sole caldo del primo pomeriggio e la nostra ombra insistente proiettata sull'asfalto, a inseguirci e sfidarci come fossimo due entità distinte. Un silenzio quasi assordante, rotto solo dall'infinito roteare di copertoni e pedali. È in quel momento che si vorrebbe che tutto fosse già finito, con le gambe immerse nel fresco abbraccio del mare e la nostalgia dei chilometri lasciati alle spalle. Ma è bastato un attimo, un sussulto, per ritrovare forza e grinta, aggrapparsi all'asfalto e mordere la salita, alzare lo sguardo e guardare ancora più in là. Ritrovare il piacere di essere lì in quel momento. Assaporare il gusto salato della fatica fino all'appuntamento con la successiva inebriante discesa.

L'alba

Il sole ce lo eravamo lasciati alle spalle, attraversando il Porto Canale di Cesenatico qualche ora prima, alle 5 di mattina, dopo che l'alba aveva dato il via al nostro viaggio. Per pochi fortunati. Duecentosettantacinque (iscritti), come 275 km (e 3300 m all'insù). Dal mare alla montagna, per tornare ancora al mare. Dal mattino alla sera. Dal freddo di un improvviso temporale, al caldo asfissiante del sole estivo. Dagli aspri boschi appenninici, alle dolci colline toscane. Da Pantani a Dante a D'Annunzio, passanto per Leonardo Da Vinci. Dalla rilassante e silenziosa campagna alla caotica città. Da est a ovest. Dall'Adriatico al Tirreno. Dall'alba al tramonto. Inseguendo il sole.
La nostra Chase The Sun, un viaggio su due ruote da vivere e condividere. Da assaporare ad ogni pedalata, rubando la scia di un improvvisato compagno o stringendo i denti per abbattere la salita. Noi abbiamo deciso di provarci in tre. Io, Pier e Viola. Una staffetta in coppia di centottanta chilometri a testa, con un unico obiettivo: viverla. Nessun cronometro da battere, nessun avversario da superare. Solo una giornata da assaporare.

Le prime pedalate di gruppo le hanno fatte i miei due compagni, trascinati dalla carovana a 40 chilometri orari, dopo che il sole aveva già dato il via alle danze. Una lunga cavalcata attraverso la pianura romagnola, su quelle strade che solo qualche anno addietro avevano salutato l'andata e il ritorno del Pirata Pantani dopo ogni sua uscita d'allenamento.
Come un cronista del Giro sono rimasto nelle retrovie guidando silenziosamente la nostra Mitsubishi Outlander PHEV, ammiraglia di giornata, faticando a superare l'infinita carovana, per qualche scatto rubato in movimento. Un riscaldamento lungo quaranta chilometri, tra torrenti e campi di grano, fino al primo piccolo strappo per la Rocca delle Camminate dove le fila si sono definitivamente rotte, lanciando ognuno lungo la sua personale gara.

Il cielo plumbeo e nuvole cariche di pioggia hanno poi dato il via alla folle discesa verso Predappio, dove una tempesta d'acqua ha risvegliato anche gli animi più insonni. I più impavidi hanno proseguito senza sosta fuggendo (o rincorrendo) il sole, mentre i più saggi si sono affidati ad una pausa forzata di qualche minuto. Tanto affascinante da spettatore, quanto terribile da protagonisti.
Neanche il tempo di respirare (e di asciugarsi) e la salita è ripresa, lenta e inesorabile, verso il primo dei checkpoint (e primo cambio staffetta), scalando le strade dell'Appennino Tosco-Emiliano. Quaranta chilometri non-stop, tra piccoli paesi semiabbandonati e una strada tanto stretta quanto affascinante, sospesa tra faggi, abeti e castagni, andate e ritorni, in un arcobaleno verde e giallo che ci ha accompagnato fin sulla cima del Valico dei Tre Faggi (Cima Coppi di giornata a 930 mslm). E la mia partenza è stata lassù, in vetta.

Via

Solo quattro mesi fa non avevo idea di cosa volesse dire pedalare più di cento chilometri. Pura fantasia l'idea di poter davvero essere protagonista alla Chase The Sun. Ma complice la voglia di provarci e ritrovare forma e spirito d'atleta (runner), mi sono buttato. Così è nato il progetto The Bycicle Rise. E la strada non è stata in discesa. Quando sono risalito in sella per la prima volta non l'ho nemmeno fatto in strada. L'ho fatto con MyCycling, training system di Technogym. Qualche settimana di allenamento neuromuscolare indoor, incentrato sul continuo cambiamento biomeccanico del gesto sportivo dettato dal cervello, con l’obiettivo di migliorare le caratteristiche metaboliche e neuromuscolari. Alternando solo successivamente le uscite su asfalto. Un percorso lungo ma preciso. Costante e non scontato. E dopo duemila chilometri corsi in sella alla mia Cinelli Veltrix Caliper è poi arrivato anche il momento di dare il via alla mia personale rincorsa al sole.

Lanciato verso il Mar Tirreno dalla cima dell'Appennino, ho dato il primo cambio a Pier, affiancando Viola lungo le strade che ci hanno dato il benvenuto in terra toscana, accompagnati dallo scorrere del Sieve prima e dell'Arno poi. Panorama che ha impiegato poco a cambiare, abbandonando le ripide valli scoscese appenniniche, regalandoci le prime verdi colline adornate di cipressi, con il sole fiero di essere parte di una giornata per noi indimenticabile.
Arrampicati tra i vicoli e valichi di Pontassieve, aggrovigliati tra i sentieri delle prime colline della terra del Chianti, ci siamo lasciati guidare dall'Arno fino ad attraversare Firenze. Muraccioli che costeggiano il fiume che tengono nascosta la città fin quando non le si arriva al cuore. Non su strade asfaltate e piste ciclabili d'alta velocità, ma seguendone la storia, assaporandone l'arte, sfiorandone i monumenti. Una prospettiva del tutto nuova, delicata quanto fugace. E lasciata alla spalle l'urbe dantesca è stato subito il momento di prendere fiato per una nuova salita.
Il sole alto del mezzo dì ha iniziato a farsi sentire. La strada impennata e quasi senz'ombra ci ha proiettato in un universo parallelo, fatto di sola fatica e voglia di arrivare prima che il cancello del secondo chackpoint si potesse chiudere, lasciandoci orfani di una parte del percorso. Tutt'intorno, ancora colline dorate, tanto belle quanto crudeli.

Veni, vidi, Vinci

Con al fianco Pier, ci siamo lanciati lungo le discese verso Vinci, scoprendo presto di dover salire (forse gli unici) da più anguste e nascoste salite, per poter toccar con mano la casa natale di Leonardo, nascosta tra uliveti e vigne ed un versante nero, macchiato dalla feroce razzia del fuoco umano. Le colline si sono susseguite senza sosta, a cadenza costante, attraversando la terra delle Cerbaie, la riserva naturale di Montefalcone e la foresta di Staffoli. Lì ho dovuto fare i conti con la mia inesperienza e la fatica dovuta alla fame. Fatica che aggredisce le gambe prima della testa. Ma insieme, alternandoci, abbiamo continuato fino all'ultima infinita salita di Buti. Lenta, incessante, invitante. Ultimo sforzo prima del grande finale.

Chi ha poi pensato che l'ultimo checkpoint volesse dire fine ha completamente sbagliato valutazione. Scendendo verso Pisa il panorama è di nuovo cambiato, accantonando il continuo saliscendi collinare e regalandoci un'immensa piatta distesa fin sulla riva del mare. Strade che si sono ripopolate di auto e turisti, con i resti d'un acquedotto romano che ci ha fatto da cicerone fin arrivando quasi alla dannunziana Piazza dei Miracoli, con la sua Cattedrale, il Battistero, il Campo Santo e la sua Torre. Il tempo di una foto e con il pomeriggio che si stava trasformando in sera, la discesa verso Tirrenia è stata come rincorrere l'ultima corsa, con il profumo della salsedine a invadere sempre più insistente le narici e la voglia di un bagno fresco a tentare le forze residue delle gambe. Un treno in corsa inarrestabile, seguendo con la coda dell'occhio il sole scendere sempre più veloce per tuffarsi a sua volta in mare. Fermare il cronometro, arrestare il gps, è stato un po' come sospendere il tempo. Come scattare una foto. Mille frammenti che hanno raccontato una giornata su due ruote.

Non nego che, a posteriori, la tentazione di azzardare l'attraversta in solitaria l'ho avuta. Un'idea che solo quattro mesi fa non mi sarebbe mai passata per la testa. Ma pedalando (come correndo) ho capito che tutto è possibile, anche ciò che sembra irraggiungibile. E oggi oltre a runner, mi sento anche un po' ciclista. Magari non di quelli che si sparano trecento chilometri alla volta o di quelli che scalano vette e passi come fossero strade di campagna. In queste settimane ho imparato ad apprezzare un mondo che si muove ad una velocità diversa, a volte anche su strade diverse. Con l'aria fissa ad accarezzare il viso e l'occhio attento alla ricerca sempre di una nuova salita.


L'articolo della nostra Chase The Sun, con le fotografie di Pierluigi Benini, è stato pubblicato sul magazine numero 36 di Cyclist. Il resoconto di tutta la preparazione per la nostra Chase The Sun è raccontato invece all'interno del progetto The Bicycle Rise (clicca qui) su Cyclistmagazine.it.