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Il runner mannaro

Era da molto che non correvo la sera. Non mi ricordavo quanto fosse fredda d’inverno. Campi già brinati e la prima nebbiolina a coprire il confine dei fossi. Ma non mi ricordavo neanche quanto fosse bello correre alla luce della luna. Che mi ha richiamato come si chiama un amico lontano.

Alta, tonda, fredda, luminosa. Come il sole di un altro universo. Parallelo. Buio e ombre che si sono alternate per disegnare un mondo diverso. Un’atmosfera pallida, ma luminescente. Un paesaggio disegnato da una matita sottile, leggera. Che mi ha trasportato, trascinato, invitato lungo l’unica linea di terra che costeggia il Naviglio. Solo qualche albero scuro a fare da contorno. Come fossi disegnato in un quadro appeso in un lungo corridoio. Quasi impercettibile lo stesso rumore dei passi. Gambe, sguardo, corpo attratti da una forza magnetica che spinge a continuare ancora e ancora e ancora, senza fermarsi.

Ho corso guardando fisso davanti a me come rapito dallo sguardo di Medusa, assaporando gli odori di un inverno arrivato quasi all'improvviso. La mente vuota non ha pensato al ritmo, alle gambe, alla stanchezza. Ho corso e basta come attraversando paesaggi lunari visti per la prima volta. Campi, strade, case, alberi coperti da un mantello grigio e allo stesso tempo colorato, soffuso, addormentati sotto lo sguardo della luna. E sono andato, come un lupo mannaro che non si può fermare quando appare la luna piena.

Voltandomi, ho seguito la mia ombra proiettata sull'asfalto. Nitida, precisa, che rifletteva ogni fremito del corpo. E mi sono visto, studiato, osservato dall’esterno. Attorno nessuno. Silenzio. Solo qualche altro mannaro che non ha saputo dire di no al richiamo della luce nella notte. E senza quasi accorgermene mi sono ritrovato dove tutto è iniziato.