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55° Monza-Resegone

E' sufficiente guardare e confrontare le nostre foto davanti al palco dell'Arengario prima della partenza e dopo l'arrivo in Capanna Monza per leggere quello che è stata la nostra Monza-Resegone. Sorrisi e tanti saluti per stemperare la tensione prima del via. Abbracci e stanchezza nascosta dagli occhi nel freddo-umido dell'arrivo. In mezzo tutte quelle sfumature che si trasformano piano piano, come la luce che va via-via scemando verso il tramonto lasciando spazio alla notte. La lenta scoperta del fascino del correre insieme. Non è più un allenamento, ma un continuo sostenersi, in silenzio, cercando di leggere nel sospiro affannato dei propri compagni le loro emozioni, i loro pensieri. Provare ad aggrapparsi al loro passo nel momento in cui sembra che le forze stiano per finire, ma senza allarmarli. Reagire, allungare una mano nel momento del bisogno. E rimanere uniti. Insieme. Ascoltando il ticchettio imperterrito del tempo che intanto passa, con lo sguardo rivolto all'insù, alla ricerca di quella luce in mezzo agli alberi che ti fa urlare, ancora prima di raggiungerla, ce l'abbiamo fatta.

Si ringraziano Arturo Barbieri e Roberto Mandelli per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

La nostra forza è tutta racchiusa in quello strappo finale, quegli ultimi venti metri volati via in un attimo. Franco che mi affianca e le nostre mani che si stringono a quelle di Chiara. Abbiamo tagliato il traguardo senza quasi rendercene conto, trasportati dagli ultimi spasmi di adrenalina, per trovarci poi abbracciati e sorridenti. Con le lampade frontali che ci accecavano, i sorrisi affaticati di chi ha tenuto duro fino all'ultimo passo, il cuore che batte all'impazzata. Sono attimi che rimangono racchiusi negli occhi per come sono, quasi statici, indelebili. Un racconto non scritto di quarantadue chilometri corsi fianco a fianco. E ripensare a quello che è stato solo quattro ore prima sembra quasi inverosimile.

Sulla carta la nostra squadra è stata una novità. Non abbiamo mai corso davvero tutti insieme. Neanche in allenamento. Ci abbiamo provato, ma alla fine non ci siamo mai riusciti. Ma quello che rende davvero squadra, non sono i chilometri fatti. E' lo spirito nell'affrontare la corsa. L'amicizia che ti lega. Il rispetto. La fiducia che inevitabilmente devi dare agli altri. L'umiltà di sapersi adattare, conoscendo i propri limiti e rispettando quelli degli altri. E la voglia di non lasciarli mai soli. E di questo non ho (abbiamo) mai dubitato. Tutti e tre. Anzi, tutti e quattro. Io, Chiara, Franco (Mauri) e Simone (Schmalzbauer). Senza di lui tutto sarebbe stato più complicato. E proprio per lui la Monza-Resegone era già iniziata più di tre ore prima, quando aveva raggiunto Calolziocorte nel pomeriggio per lasciare l'auto e raggiungerci poi in bici in centro a Monza. Quando è arrivato, l'atmosfera era già calda e mancavano solo pochi minuti al via. Le procedure della partenza sempre le stesse e conosciute bene pur non avendo mai corso insieme. Per Franco quattro edizioni portate a termine quando la MoRe non era ancora un fenomeno così di massa, per me sole due capanne raggiunte (la prima in gara, la seconda con Chiara), per lei un solo arrivo ma senza squadra.

Il bagno di folla iniziale è stato inebriante. Da quando si sale sulla pedana per la presentazione a quando si supera il Ponte dei Leoni passano secondi che sembrano minuti. Non si distinguono visi e sorrisi tra la gente. Si cerca lo sguardo complice di amici e conoscenti, ma senza riuscire mai ad incrociarlo. Le gambe partono da sole e ci si ritrova proiettati tra due ali di folla gremite da bambini (e anche adulti) che aprono la mano per un cinque. E' quello che vivono di solito i top-runner ormai con distaccata abitudine. Per noi è una spinta per iniziare con un passo in più. L'essere squadra mista poi è un bel vantaggio. Pettorale 42 a fronte di trecento squadre iscritte. Che, tradotto in tempo, vuol dire partire a soli tredici minuti dal via ufficiale della corsa. E per noi la possibilità di recuperare molte squadre prima dell'inizio delle salite e non trovarci ostacolati lungo il sentiero che da Erve porta in cima al Resegone. Il clima ci è subito sembrato favorevole. 21°C alla partenza, vento fresco, umidità nella norma (60%) per una giornata estiva. Potrebbe sembrare cosa da poco, ma già correre di sera/notte può essere un ostacolo non essendo abituati. In più, partire ai piedi dalla Brianza e salire di altri mille metri in montagna, diventa uno stress notevole per il fisico. Non contano solo i chilometri. Quelli iniziali, per altro, sono passati in un attimo.

La prima parte di gara che unisce Monza-Villasanta-Arcore-Usmate è un lungo rettilineo che attraversa le città brianzole. Mente fresca, gambe riposate e pubblico costantemente presente sulla strada fanno in modo che la leggera salita che aumenta neanche si senta. La corsa è un continuo botta-risposta di Bravi&Grazie di chi è affezionato a questa classica di inizio estate ed esce di casa ogni anno per applaudire. In più Simone, che ci segue nelle retrovie, non si lascia sfuggire occasione per rallegrare la nostra corsa con un po' di cabaret col pubblico. Tanti fin da subito anche i saluti di chi ci riconosce nelle canotte verdi e rosa di Corro Ergo Sum. Grazie! E saluti d'obbligo poi tra squadre mentre le superiamo, piano piano, senza forzare mai troppo il passo. Chiara si è affidata totalmente a me e a Franco e noi l'abbiamo gestita. E per esperienza sapevamo bene che sarebbe stato inutile partire forte per poi morire ancora prima di Erve. La Monza-Resegone non è gara per azzardare. Non ci siamo mai scostati dai 4' 40"/4' 45" (corrispondenti a 10"/15" in meno in pianura, nda) che ci eravamo imposti prima del via. Passo incredibilmente costante e relativamente facile. Il nostro obiettivo dichiarato è sempre stato quello di arrivare in cima al Resegone tra le quattro ore e le quattro ore e dieci, risultato che ci è sembrato abbordabile con una buona conduzione di gara. Arrivare ad Erve intorno alle tre ore e poi attaccare la salita. E magari un podio ci sarebbe potuto anche scappare. Ma le incognite lungo la strada sono sempre tantissime.

A risvegliarci da un prolungato attimo di torpore e concentrazione, poco prima di uscire da Usmate all'altezza dell'undicesimo chilometro, ci hanno pensato mamma&papà. Campane alla mano, ci hanno colto talmente di sorpresa che quasi non ci siamo accorti di incrociarli, troppo attenti a passo-e-ritmo e intenti a superare alcune delle squadre che ci precedevano. Delle quarantuno che erano partite prima di noi, solo quattro o cinque sono (fisicamente) arrivate prima alla Capanna Monza. Intanto la sera è diventata notte, ma non ce ne siamo accorti fino a quando non ci siamo allontanati dalla luce e dal calore delle città, lasciandoci alle spalle Lomagna e Osnago, rincorrendo e recuperando di volta in volta ogni trio ci fosse poco più avanti. E nel cielo ancora blu, quasi viola, in alto, sulla sinistra, il Santuario di Montevecchia illuminato ci ha osservato passare in lontananza, come a volerci mostrare le sue salite. Il prologo del Resegone. Quasi a ricordarci invece che eravamo in prossimità della fine del primo tratto di salita ci ha pensato l'accoglienza di Cernusco Lombardone. Il silenzio e l'abbandono dei pochi chilometri che avevamo appena percorso, entrati in centro città, si sono trasformati in due ali di folla festanti come fossimo in cima allo Stelvio. Musica, festa, applausi, incitamento. E lo stordimento improvviso di trovarsi in mezzo ad un'accoglienza completamente inaspettata. Una botta di adrenalina che ci ha spinto come non mai. Uno dei vantaggi di partire con un numero di pettorale basso. Dopo un'ora o un'ora e mezza non sarebbe più stata sicuramente la stessa cosa.

La fatica si è fatta leggermente più intensa. Sopportabile per me e Franco. Silenziosa per Chiara, che non ha mai rallentato il passo, rimanendo al mio fianco nei tratti in cui la strada lo ha permesso o seguendomi dove è diventata più pericolosa. Ma sempre sotto gli occhi attenti di Franco e di Simone che hanno chiuso il gruppo. Esattamente in corrispondenza del ristoro del ventesimo chilometro abbiamo subìto il primo sorpasso. Quasi non ce ne siamo accorti. Gualdi, Buccilli e Nasef (squadra maschile che ha stabilito il nuovo primato di gara in 2h 55', record che resisteva da quindici anni, nda) accompagnati dal fido Bottura in bici, ci hanno sfilato senza lasciarci nemmeno il tempo di reagire, salutare, accorgerci della loro impresa. Impressionanti. Li abbiamo visti allontanarsi in un attimo, lungo la discesa che porta a Calco. E insieme a loro ci ha salutati anche Simone che li ha seguiti quasi in scia, per portarsi avanti e preparare il cambio-maglia-luci per il nostro arrivo dieci chilometri più avanti, a Calolziocorte. Siamo rimasti soli e non avere più la nostra guardia nelle retrovie è diventato quasi penalizzante in alcuni tratti di discesa senza lampioni, dimenticati nel buio denso della Brianza, con la strada illuminata solamente di tanto in tanto dai fari della macchine in arrivo in una o nell'altra direzione. Il passo è aumentato, ma la fatica non è diminuita. Alla strada in discesa è corrisposto l'aumentare dei chilometri. Ma soprattutto il tratto di percorso forse più stancante mentalmente, col passaggio anonimo sulla statale verso il lago di Lecco e il pubblico ormai rado anche attraversando Airuno, Capiate e Olginate. Proprio nei dintorni di Airuno, al ristoro successivo, abbiamo subìto anche il secondo sorpasso, ma questa volta di una squadra mista. Per noi era già finito il rincorrere le squadre che ci precedevano e non ci è rimasto che contrattaccare agli attacchi alle spalle fino alla fine. Il team era quello di Cinzia Bertasa, campionessa di corsa in montagna e ultramaratone. Abbiamo provato a reggere il ritmo per qualche chilometro, ma al momento del cambio maglia li abbiamo persi di vista.

I chilometri passati tra il ventinovesimo e il trentaduesimo li ho vissuti in maniera strana. Non so se sia stata la temperatura ormai scesa sui 15°C o la stanchezza della strada percorsa fino a quel momento, ma mi sono sentito come in un'altra dimensione. Le gambe hanno continuato imperterrite e costanti con il loro ritmo. Mi è quasi sembrato però di essere assente mentalmente. Ho visto Franco prontamente affiancare Chiara dalla parte opposta alla mia e prendere in mano il ritmo. Io ho seguito al loro fianco adeguandomi. Soprattutto lungo il passaggio sul ponte che regala la vista sulla diga del lago, là dove nasce l'Adda. Una situazione strana. Una piccola crisi, ma non credo dovuta alla stanchezza. Forse al freddo. Ed infatti non appena entrati a Calolziocorte e sentito il richiamo di Simone che ci stava aspettando pronto per seguirci questa volta a piedi (zaino in spalla), la situazione è ritornata nella norma. Una veloce pausa per infilarci maglia asciutta, smanicato e lampada frontale e siamo ripartiti. E come immaginavamo prima ancora della partenza, qui è iniziata la gara vera.

Si ringraziano Arturo Barbieri e Roberto Mandelli per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

In ogni maratona il trentaduesimo chilometro corrisponde al momento in cui si decide una gara perfetta, la differenza tra una gara buona o una disfatta. Nella Monza-Resegone è ancora più decisivo. La salita verso l'inizio del sentiero è lo spartiacque tra chi arriverà alla fine e chi no. Nei quattro chilometri di salite tra Calolziocorte e Erve, prima le scalinate e poi i tornanti nel buio che nasconde l'orrido, sono la vera sfida. Il momento in cui non bisogna mollare. Fatica di gambe e di testa. Il cronometro non conta più, conta solo non fermarsi. Macinare metri e non lasciarsi scoraggiare dalla fatica. Che si trasforma. Da affaticamento per mantenere il ritmo diventa spinta per non cedere. Il cuore batte all'impazzata e correre diventa un'impresa. Chiara comincia ad arrancare. Le scale spezzano il fiato, le gambe, il ritmo, le certezze che si hanno avuto fino a quel momento. A turno sia io che Franco che Simone la affianchiamo. E saliamo. Una rampa, poi la successiva. Un piccolo tornante in paese, poi un'altra rampa. Sembra non finire più, in un continuo susseguirsi di angoli nascosti che ogni volta sembrano sempre più duri. E arriva anche il terzo sorpasso, questa volta della squadra mista di che andrà a vincere la categoria: Carlin, Zenucchi, Tyar.

Le case si diradano, la strada si allarga, fino a quando rimaniamo soli, immersi nel buio lungo il fianco della montagna. Non mi era mai capitato di correre in solitudine gli ultimi chilometri prima di raggiungere Erve. Affascinanti e terribili allo stesso tempo. Nessun riferimento se non le luci del paese in lontananza. Il silenzio della montagna a farci compagnia. Si sentono solo i nostri passi, leggeri. Intorno nessuno. Per qualche tratto abbiamo camminato, lasciando che Chiara potesse rifiatare. La temperatura scende e l'aria soffia fredda risalendo dall'orrido. Ma l'esperienza ci ha fatto correre ben prima ai ripari. La vista del paese diventa come un miraggio nel deserto. Ma basta quello per ridare vitalità alle gambe. Un ultimo allungo prima di risalire il sentiero che ci porterà alla capanna. Passiamo il cancello di Erve al 36 Km in 3h 03' 22". Leggermente più lenti sulla previsione di tre ore, ma perfettamente in linea con la nostra proiezione finale. Chiara è stanca e si vede. Il sentiero non si inerpica immediatamente lungo il fianco della montagna, ma avanza per qualche centinaio di metri prima lungo un tratto cementato e poi attraverso il bosco. Ma senza riferimenti la strada sembra non finire mai. Anche il gps perde coerenza (gli ultimi sei chilometri diventano quattro per il Garmin, nda). E quando finalmente riusciamo ad arrivare all'inizio del Pra' di Ratt, l'inferno si materializza.

La lotta contro il tempo diventa una lotta per arrivare il prima possibile al forcellino e ritrovare un sentiero corribile. La corsa, ormai lenta, diventa scalata. Le piccole torce bianche che delimitano il sentiero disegnano un percorso nel buio che sembra non avere mai fine. Il tentativo di tenere un passo costante è un'impresa, soprattutto per Chiara che fatica sempre di più. Avanzando di qualche metro, mi fermo nei tratti più ripidi per aiutarla a superare le rocce più alte e scoscese, scegliendo i passaggi più facili e meno scivolosi. Ma dal basso cominciano ad intraverdersi altre torce frontali che ci stanno raggiungendo. I primi gruppi di soli uomini hanno un altro passo e poco prima di essere a metà dell'ultima parte di percorso ci sono addosso. Si sente vociare e un continuo incitamento. Ma il primo che ci sorpassa è senza pettorale. E' solo un accompagnatore, come Simone per noi. Ma invece di rimanere nelle retrovie e seguire la sua squadra, è lui a fare il passo ed a tirare il gruppo. Non che a noi potesse cambiare qualcosa, ma lo trovo scorretto nel rispetto degli altri team maschili concorrenti. Anche un solo secondo, a volte, può costare una posizione. Quello che invece più incide sulla resistenza di Chiara è l'improvviso sorpasso che subiamo dalla terza squadra mista (Carobbio, Capponi, Vezzoli), partita nettamente alle nostre spalle. Podio ormai perso e lotta aperta solo per il quarto e quinto posto. Ma non bisogna mai dare nulla scontato prima della fine.

La vista dell'ultimo ristoro appena dopo il forcellino ridà parte della fiducia persa lungo tutta l'ultima parte di salita. Il difficile è passato e rimangono solo secondi da rubare al cronometro. Ma Chiara è provata. Fatica a tenere il passo nonostante io abbia ginocchia e caviglie decisamente affaticate per le scarpe troppo leggere su un sentiero così tortuoso. Quando però anche la squadra mista #40 ci raggiunge sembra che le cose si facciano più dure di quanto previsto. Ma l'aver dosato le energie nella giusta misura fino a quel momento diventa un'arma a nostro favore. La ragazza che ci ha appena superato non riesce più a piegare le gambe, troppo affaticate dagli sforzi per superare il Pra' di Ratt. Ad ogni nuova risalita ripida i crampi la attanagliano e la sentiamo urlare in lontananza mentre riprendiamo possesso della nostra posizione. Guardando il cronometro del gps segnare 3h 48' non so quanto possa mancare realmente alla fine ma sento che la Capanna Monza non è lontana. Davanti a noi le luci dei pochi che ci hanno superato si inerpicano lungo il bosco e li seguo con lo sguardo facendo forza a Chiara. Che non molla. Franco e Simone la scortano alle spalle. E le centinaia di metri alla fine diventano solo decine.

Quando gli abeti si aprono a quasi milleduecento metri di altezza e si intravedono le luci della balconata l'attrazione è istantanea. Le forze rinascono. Le mani cercano quelle dei propri compagni per chiudere definitivamente insieme quella salita durata 42 Km. Che per noi vuol dire 4° posto di categoria (mista) e 32° assoluto. 4h 02' 50" (59' 29" da Erve all'arrivo, nda) e il nostro obiettivo pienamente raggiunto (e soli 4" di vantaggio sul team quinto classificato, nda). A chi è stato più veloce di noi non resta che fare i complimenti. Dopo, tutti i calcoli, tutti i commenti, tutti i ma, tutti i se sono possibili. Anche un solo passo in più, un solo secondo in meno, non sono facili da conquistare. E il ricordo vivido di quello che abbiamo vissuto rimane, indelebile. Ma più di tutto resta un legame che è nato quattro ore prima sulla pedana della partenza nel centro di Monza e ci ha portato fino in cima al Resegone. Emozioni, fatica, sorrisi, saluti, sudore, complicità. Attimi lunghi quattro ore che trasformano tre (quattro) amici in una squadra. Corro Ergo Sumus. Come mai prima d'ora.