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Atletica Master vs Atletica Giovanile

Questa settimana concluderò il mio tirocinio per diventare Tecnico Fidal. Un percorso formativo che dura ormai da qualche mese (da questa primavera) che dopo tanta teoria, regolamenti e lezioni ha finalmente avuto il suo sbocco più bello, quello a contatto con i giovani. E tutto questo mi ha fatto davvero pensare.

Non arrivo dall’atletica giovanile. Come ho spesso raccontato nelle varie interviste che ultimamente mi sono state fatte in occasione dei 10 anni di Corro Ergo Sum, il mio background sportivo (e tecnico) deriva da tanti altri sport (basket, calcio, futsal, nuoto, tennis, bici, tennis-tavolo...). Sempre praticati, fin da piccolo, ma non sulla pista di atletica. Il primo contatto con la pista l’ho avuto solo al liceo, grazie al nostro professore di educazione fisica (Luciano Pileri), che prima ci ha fatto assaporare tutte (o quasi) le discipline olimpiche (velocità con 100-200-400 m, mezzofondo con 1200 e 3000 m, lancio del peso, disco e giavellotto, salto in lungo, triplo, in alto) teoricamente e praticamente, per poi farci partecipare per due anni consecutivi (il quarto e quinto anno) ai Giochi della Gioventù (ma che fine hanno fatto?). Ognuno nella sua disciplina. Un’esperienza che davvero mi ha lasciato il segno. Peccato che nessuno mi avesse mai suggerito di provarci subito con la corsa, che già allora, senza nessuna preparazione specifica, mi veniva naturale e senza troppa fatica. 

Riavere un contatto diretto con il mondo giovanile a distanza di trent’anni è stato emozionante. Stimolante. Coinvolgente. Ma anche terribilmente spietato. Mi sono accorto di quanto il mondo dell’atletica giovanile sia lontano anni luce da quello che sono abituato a frequentare. Quello dei master. Quello delle tapasciate. Quello delle maratone. Quello che invece dovrebbe essere solo l’epilogo (per la maggior parte) di un percorso iniziato molti anni prima. 

Correre da ragazzi è facile. Spesso poca testa, ma tante gambe. E’ proprio il lavoro del tecnico quello che serve per creare nuove campioni. Intravedere le potenzialità di ogni singolo ragazzo e saperle fare crescere, sviluppare, invogliare. Correre è anche forse la disciplina più difficile da far digerire a chi si vuol divertire senza però far troppa fatica. Non tutti sono così, sia chiaro. Ma un po’ è anche questa la differenza che c’è tra un adulto e un adolescente. Quante volte ho pensato a quello che avrei potuto fare tanti anni fa con la testa di oggi. Si chiama esperienza (e determinazione) e ci vuole tempo per averla (e per inciso, non a tutti è comunque sufficiente...). Eppure, nonostante l’esperienza, la voglia, la passione, mi sono accorto di quanto da master non siamo davvero in grado di gestirci come invece dovremmo. Forse la paura del tempo che scorre, la voglia di bruciare le tappe, il dover avere tutto e subito. 

Se guardo questi due mondi, così vicini e così tanto lontani, li vedo estremamente sinergici, complementari. Che non vuol dire correre solo con la fisicità e la leggerezza di un ragazzo, ma nemmeno semplicemente con la determinazione e la passione di un adulto. Due universi che dovrebbero essere forse un po’ mischiati, per estrarre quello che di positivo possono offrire uno all’altro. 

In queste ultime settimane ho affiancato i ragazzi settimanalmente (insieme ai tecnici dell’Atletica Gessate, Yari e Max, che ringrazio per l'opportunità) scoprendo (o forse solo semplicemente rivivendo) un modo diverso di affrontare la corsa, fatta non solo di chilometri (anzi decisamente pochi), ma soprattutto di esercizi, potenziamento e tecnica. Tutto quello che si dovrebbe padroneggiare prima di pensare ad una gara, che siano quattro giri di pista per il miglio o che siano i quarantadue chilometri della maratona. Cose viste e riviste anche quando giocavo (e insegnavo) a basket. Cose viste e riviste ogni volta che incontro il prof. Massini al Campo del XXV Aprile. Cose viste riviste su ogni rivista e libro che parla di corsa. Eppure, tutto questo, sembra non volerci entrare in testa. 

E purtroppo, dopo le prime settimane in cui ho sfruttato gli allenamenti con i ragazzi per migliorare anche questa mia mancanza, la schiena mi ha bloccato e mi ha fatto rimanere solo spettatore nei loro pomeriggi di allenamenti, inframmezzati da divertimento, tante chiacchiere e la loro inconsapevole voglia di fare bene. Un’occasione purtroppo (per me) non sfruttata fino alla fine e che ho paura col tempo (e con le tante scuse che ogni giorno ci giustifichiamo) di dimenticare. Cosa sarebbero le nostre gare, i nostri allenamenti, se togliessimo qualche chilometro e ci dedicassimo più frequentemente al cross-training, alla tecnica, al potenziamento (Massi Milani docet)? E’ anche vero che la maggior parte di noi corre solo per il puro piacere di farlo, per dimagrire, per stare bene. Ma prima o poi sappiamo tutti che la scintilla che farà scoppiare la sfida con un cronometro scoppierà. 

Quello che poi mi sono chiesto è cosa invece l’universo dei master potrebbe regalare ad un ragazzo che sta inseguendo i suoi sogni. Giusto avere il riferimento di un grande campione davanti a sé. Quello di Usain Bolt, di Mennea o del ben più fresco Filippo Tortu o di Stefano Baldini, Mo Farah o Eliud Kipchoge. Sacrificio. Dedizione. Voglia di arrivare. Ma è sufficiente? E per coloro che non ce la faranno? Deve rimanere la passione, il divertimento, quella maledetta manìa che si trasformi in voglia di svegliarsi la domenica mattina e correre in compagnia. Quella voglia di vincere innanzitutto contro sé stessi. Per diventare grandi domani.