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Farmaci, running e doping: l’ignoranza non è ammessa

So di andare a toccare un argomento scottante. Ma anche allo stesso tempo attuale e soprattutto reale. Parliamo del doping. Non solo quello di Armstrong o di chi rincorre un’olimpiade, ma nello specifico quello degli amatori, fatto spesso si farmaci d’uso comune, tanta superficialità, finta ingenuità. E tanta ignoranza. Fino a quando poi non si inciampa in una squalifica. Allora poi...

Parto subito con il mettere in chiaro una cosa sul mio pensiero: tolleranza zero. Non ci sono se e ma che possano giustificare una positività. E non c’è modo di farmi cambiare idea o di trovare soluzioni alternative. Se sei dopato, la tua carriera agonistica deve finire (lo dico con rammarico riferito anche ad amici runner che ci sono caduti ingenuamente - dove ingenuamente sta per inconsapevolmente o sottovalutando la cosa). Mi rifaccio al pensiero anche dei più grandi campioni italiani di atletica (Valeria Straneo - qui la sua intervista - e Giorgio Calcaterra in primis), che qualche mese fa avevano espresso il mio stesso pensiero. 

Nei giorni scorsi il doping è poi risalito alla ribalta tra gli atleti agonisti-amatoriali dopo la comunicazione del CONI della sospensione in via cautelare di Marco Bonfiglio, ultramaratoneta italiano, trovato anche lui (tra gli altri) positivo al Bentelan, un farmaco antinfiammatorio steroideo contenente betametasone. Un farmaco d’uso comune, reperibile in farmacia. Ma con quel qualcosa in più che va contro l’etica e la pratica sportiva.

Ormai la trafila è sempre la stessa (e sempre e soprattutto su quelle distanze in cui la resistenza e la fatica sono i primi avversari da battere). Prescrizione medica del farmaco, corsa, controllo antidoping, sospensione e squalifica. Perché se in corpo hai una sostanza vietata, non c’è scampo. Non vale la ricetta medica. Non vale la malattia. Non vale la buona fede. Non vale la posizione in classifica. Non vale la (voluta o non voluta) inconsapevolezza. Tutti (e sottolineo tutti) i farmaci vietati riportano in bella vista sulla confezione e scritto all’interno del foglietto illustrativo (il bugiardino) l’avviso di sostanza dopante. Chi lo assume sa quello che sta prendendo. E lo fa consapevolmente. Quello di cui forse non si rende conto è che correndo (o praticando qualsiasi altro sport in forma agonistica) sta commettendo un reato penale oltre che sportivo.

Il TUE, questo sconosciuto

Non ci si può sbagliare. Il logo doping non può non essere visto, come non può essere sottovalutato quanto scritto nelle precauzioni d’uso. Ma questo non vuol dire che prendendo un farmaco vietato non si possa correre o pedalare. Il regolamento sportivo prevede una procedura per presentare la necessaria documentazione medica presso il CONI, che permette di gareggiare anche in presenza di utilizzo di sostanze vietate.

Si chiama TUE (International Standard for Therapeutic Use Exemptions). Una serie di documenti (Modulo TUE F49, Scheda per il medico curante/specialista-Modulo F51, Anamnesi storia clinica medica e documentazione comprovante la diagnosi, Certificato di idoneità all’attività agonistica) da inviare al CEFT (Comitato Esenzioni a Fini Terapeutici) del CONI, almeno 30 giorni prima della gara a cui si deve partecipare. Una regola semplice. Tanto da mettere in pratica, quanto da evitare. 

E non ci sono giustificazioni a riguardo che tengano. Vuoi correre? Segui il regolamento (come si fa, o si dovrebbe fare, per qualsiasi altra cosa). Non lo vuoi fare o non sei più in tempo a farlo? Stai a casa. Non serve nulla presentare la documentazione del medico prima del via. Tantomeno presentarla dopo essere stati chiamati al controllo antidoping. O farlo addirittura dopo che le analisi di laboratorio hanno riscontrato la presenza di sostanza donate. Non è buona fede (soprattutto se magari le settimane prima si è anche corso altre gare senza essere ‘beccati’). E’ ignoranza, ma non nel senso buono del termine. 

Preciso che la consegna di tutta la documentazione necessaria a testimoniare la diagnosi medica al CEFT fatta anche per tempo, non è sufficiente ad essere autorizzati a gareggiare, ma che devono essere rispettati determinati criteri e che il TUE deve essere concesso e approvato dal CONI.

Per cui basta fare i buonisti. Basta giustificare amici e miti personali. Non conta se chi è stato positivo è un runner qualunque. Non conta se la dose riscontrata è minima e potenzialmente ininfluente ai fini dei risultati. Non conta se è la prima volta o la centesima. Le regole ci sono, valgono per tutti, sono ben chiare e facilmente reperibili. E adesso ve le ho anche spiegate.

Mi spiace per Marco, come mi è spiaciuto ai tempi per Pietro. Peccato doversi pentire sempre dopo. A volte bisognerebbe fermarsi, pensare, capire cosa è meglio per sé, anche nei confronti degli altri. Che siano compagni o semplicemente tifosi. E se non si sta bene, non correre per forza. Non rincorrere per forza primati, visibilità, follower mettendo anche a rischio la propria incolumità. Spesso è già il nostro corpo a darcene i segnali. Bisognerebbe ascoltarli, invece di cercare la formula magica per andare oltre. Per quanto mi riguarda, ogni sostanza (proibita) è uguale all’altra. E la cura una sola: tolleranza zero.