Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti, per personalizzare i contenuti e gli annunci, fornire le funzioni dei social-media e analizzare il traffico generato. Continuando a navigare in questo sito web acconsenti all'uso dei cookies.

10 come 100... chilometri

Non ero più tornato alla Cento chilometri di Seregno dopo aver assistito in mountain-bike cinque anni fa Iacopo, il mio amico ultraman, nella sua prima sfida. Una sfida epica. Uno sforzo inimmaginabile. Un’impresa impossibile da dimenticare. Quasi come correre dieci chilometri dopo tre mesi di stop.

Domenica mattina ho accompagnato Chiara (insieme a Tommaso) alla sua mezza di allenamento (finita con un nuovo pb e un quarto posto femminile assoluto). A Seregno. In occasione del Campionato Italiano di Cento Chilometri, dove si sono corse anche la sessanta, la ventuno, appunto, e una family run di otto chilometri. Praticamente per qualsiasi tipologia di runner ci sarebbe stata la possibilità di divertirsi. E infatti così è stato. Più di duemila partecipanti tra tutte le distanze. Io ho fatto da spettatore (in realtà ho giocato a pallone con Tommaso) avendo spremuto le mie fatiche il giorno prima. Ma mi sono rivisto negli occhi sofferenti di chi ha corso le distanze più lunghe. Piegati quasi su sé stessi, trascinati da una forza invisibile per chilometri e chilometri senza vederne mai la fine, sospesi in un mondo mentale alieno, con il solo obiettivo di arrivare a quel traguardo tanto ambito. 

Il mio sabato (poi ripetuto già lunedì e oggi) sono stati i primi 10 Km dopo più di tre mesi. Una distanza che è la quotidianità quanto tutto va bene. Ma che si è trasformata in un obiettivo primario da quando ho rimesso le scarpe ai piedi quindici giorni fa. Un risultato che non è nulla di esaltante, soprattutto per la fatica che ho fatto a ritrovarlo, ma che è testimonianza di un lavoro che piano piano, poco alla volta inizia a dare i suoi frutti. La riconquista dei ritmi e dei tempi della scorsa primavera o di questo autunno passano da tanti piccoli step, come questo. Ogni volta con un piccolo passo in avanti, ogni volta con qualche piccolo miglioramento. L’importante è non strafare, non voler accelerare i tempi, non provare ad affrontare sfide per le quali ancora non si è pronti. 

Giusto ieri mi sono scritto qualche messaggio con Mauro, amico di vecchia data (e campioncino dell’Inter giovanile che fu) ritrovato da qualche anno sulle strade del running. Un lungo stop per problemi fisici anche per lui, ma un gap ricucito con pazienza e i giusti tempi di recupero. E mentre io correvo i miei primi diecimila in quarantotto minuti, lui è ritornato a fermare il cronometro a trentacinque. Tutto è possibile. Per lui ci è voluto un anno e mezzo per ritrovare forma, velocità e passo. Per me non sarà tanto diverso, ma sempre con quel traguardo lontano che sembra impossibile da raggiungere come in una cento chilometri. Eppure, dopo ogni crisi c’è sempre una ripartenza che prima o poi si trasforma in un successo. 

Sabato ho sentito la vera fatica. Quelle che ti dice che è il momento di rifiatare, di ritirare i remi in barca e lasciarsi trasportare dalla corrente, quella che ti offusca il cervello, appesantisce le gambe e ti rende impossibile pensare di farcela. Ma è da questi primi allenamenti che si vincono poi le gare (non solo quelle contro sé stessi). Abituarsi subito a lottare con le proprie fatiche è solo uno stimolo in più per ritrovarsi presto a lottare anche contro il cronometro. Un passo è fatto. Adesso tocca all'altra gamba. Il prossimo step sarà arrivare all’ora di corsa. Potrei anche farlo oggi, ma non avrebbe senso. Prima è necessario ritrovare il ritmo, sentire la distanza nelle gambe e solo allora allungare. Forse ancora una decina di giorni, per poi ritornare tra le mani del prof. Massini e trasformare le semplici uscite quotidiane in fartlek, allunghi, ripetute... un mondo fatto di fatica e sudore, di resistenza, di resilienza. Quel mondo che ci fa stare bene.