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Atterraggio di emergenza alla Milano Linate Night Run

Correre un diecimila è ormai cosa di tutti i giorni. Di gare, soprattutto verso l’estate, in serale, se ne trovano ogni week-end. Ma ce n’è stata una alla quale non avrei voluto mai rinunciare. E’ la Milano Linate Night Run, la prima corsa (europea) in notturna all’interno (proprio sulla pista di atterraggio) di un aeroporto. Quale migliore occasione per riprovare a volare?

Volare, poi, è una parola grossa. Al limite potrei dire che sono atterrato (nel senso che sono rimasto a terra). Ma non era questo l’obiettivo di giornata (o meglio dire nottata). Vero che ho colto l’occasione al volo per verificare l’attuale stato di non-forma, ma il cronometro per una volta davvero non ha avuto nessuna importanza. Anche perché, come già la Lyerac Beauty Run di qualche settimana fa, è stata una corsa non-competitiva.

E’ un po’ la moda del momento. Corse amatoriali, non certificate, non competitive (anche se con premiazione riservata ai primi tre uomini e alle prime tre donne all’arrivo) che condivido e sottoscrivo pienamente. Perché? Perché, a mio parere, c’è tempo per correre forte e tempo per godersi la corsa. E soprattutto in questo mio particolare momento di recupero fisico post-infortunio, riesco maggiormente ad apprezzare la seconda. Un modo per correre anche in luoghi dove correre non sarebbe mai possibile (lo avete mai fatto in un aeroporto, tranne nei casi in cui la corsa era verso il check-in per non perdere il volo?) e provare ad apprezzarne la singolarità e la bellezza. Ma anche e soprattutto per dare a chiunque la possibilità di farlo, senza l’antipatica necessità di avere un certificato medico agonisticoo per l’attività sportiva (su questo poi si può aprire un mega-dibattito, ma sta di fatto che, soprattutto sulle corse più brevi, il numero di partecipanti sarebbe decisamente inferiore - DeeJay Ten docet).

Una corsa diversa poi in tutto e per tutto. A partire dalle modalità di registrazione e preparazione alla gara. Arrivo in aeroporto e parcheggio sono stati nei normali silos destinati a partenze e arrivi almeno due ore prima del via, in pieno stile viaggiatore. Cartelli adesivi a terra hanno indicato la strada da percorrere per il check-in. Banco check-in in pieno servizio, con una decina di terminali attivi per il ritiro del pettorale, del biglietto d’imbarco e del bracciale di permanenza all’interno dell’aeroporto. Poi passaggio d’ordinanza al controllo bagagli, con tanto di metal-detector, personale di servizio e fermo dei liquidi (come per un qualsiasi volo). Gate d’imbarco con hostess e controllo del biglietto, fino alla discesa sulla pista attraverso i tunnel di passaggio. Quando sono arrivato, un’ora e mezza prima del via ufficiale (previsto alle ore 00:30), il villaggio (comprendente ristoro, spogliatoi, consegna borse, palco di intrattenimento/premiazioni e vip area) completamente organizzato all’interno dell'hangar della Breda era già completamente colmo dei 2250 iscritti.

Abbiamo avuto il tempo di guardarci attorno, salutare amici e conoscenti sparsi qua e là, fare qualche diretta su Facebook, ballare, scaldarci e scattare l’immancabile selfie. A farmi compagnia Carlo e Gabriele, che insieme a me hanno completato la squadra dei Corro Ergo Sum Runners, pronti a decollare sopra Milano. Nessuna griglia di partenza in base ai tempi chiaramente e abbiamo dovuto scavalcare e superare qualche centinaio di persone per presentarci nelle prime file sotto al cartello del via. Nessun aereo in cielo, nessuno in arrivo e nemmeno in partenza. E soprattutto nessun pubblico ad assistere alla gara. Una intima corsa fatta per sé, rinchiusa nel silenzioso buio dell’aeroporto di Linate.

Un’atmosfera strana, insolita, dove i chilometri si sono susseguiti scanditi dalle accecanti luci della pista di atterraggio. Nessuna transenna a delimitare il percorso e solo qualche volontario qua e là a salvaguardare la sicurezza e l’integrità del tracciato. Dopo il via, in una serata fatta apposta per correre dopo le calde notti delle ultime settimane, il percorso ha seguito le naturali linee dei percorsi di rullaggio, slalomando in mezzo agli aerei parcheggiati e agli hangar, per salire e poi ridiscendere lungo la pista di atterraggio e partenza. Dieci chilometri che sarebbero potuti essere cinque o venti, senza nessun riferimento visivo se non la macchina apripista lontana qualche centinaio di metri e le luci di delimitazione della pista, che sono sembrate correre verso l’infinito. Ma lo spettacolo vero è stato guardarsi alle spalle, soprattutto nei tratti in cui il percorso si è incrociato con la lunga fila di runners che hanno coperto in fila (quasi) indiana gran parte dello spazio a disposizione. Chilometri di buio in cui fare i conti solo con le proprie forze e la propria fatica, fino al ritorno verso gli hangar di partenza, con la vista sulla Milano dei grattacieli illuminata di mille luci, a fare da silenziosa e immobile spettatrice alla gara. 

La mia gara (nel vero senso del termine) è durata ben poco. Prima di partire non sapevo minimamente a cosa sarei andato in contro, ma dopo qualche minuto ho ben capito che la situazione sarebbe stata decisamente più dura di quanto mi aspettassi. Di sicuro non mi ha aiutato la partenza, troppo veloce per la mia attuale condizione (3’ 47”) e che ho pagato subito dopo il giro di boa, quando i chilometri più duri sono passati a 4’ 10”. Ma sono comunque contento del risultato finale (39’ 14” il tempo ufficiale, ma con qualche centinaio di metri in meno sicuramente). Infatti il Garmin Forerunner 645 ha detto 4’ 01” di media, che è esattamente quello che in questo momento posso produrre. Ma a me non piace accontentarmi e avrei voluto di più. Sono comunque soddisfatto della gestione di gara vista l’accelerazione nell’ultimo chilometro ancora a ritmo iniziale, segno che con una gestione più intelligente avrei potuto forse fare meglio. I tempi di una volta sono ancora lontani, ma mi è comunque servito per avere più chiaro il percorso da fare. Per ora, meglio rimanere con i piedi per terra.