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Run4T with Nctm (Milano)

Non ci avrei scommesso prima di partire. Ma si sa che la gara è una corsa a sé stante, non confrontabile con qualsiasi tipo allenamento di qualità. E così la Run4T with Nctm, la corsa della Triennale di Milano, si è trasformata da pura sofferenza in una bella serata. Non tanto per il tempo, ma per le sensazioni e il risultato finale. Un piccolo podio di categoria e un buon piazzamento assoluto, quello che mi serviva per ritrovare un po' di fiducia evaporata con il caldo estivo.

Foto di copertina di Antonio Andòcorri Capasso.

E l'occasione di ritrovare Giorgio Calcaterra. Non ci vedavamo da qualche settimana e fare due chiacchiere prima della pausa estiva è stato piacevole. Sono contento che ci sia stata una fila continua di runners che ci hanno interrotto per chiedere foto e autografi su pettorale e libro. Quello che un vero campione si merita. Anche perchè campione lo è stato ancora una volta, vincendo a man bassa la manifestazione organizzata dalla Triennale. L'essere presente a poche gare ultimamente mi fa apprezzare notevolmente le occasioni che si presentano. E visto il periodo di difficoltà mi ero anche prefissato di correre un semplice allenamento come da programma. Ma si sa, l'occasione fa l'uomo ladro.

Bella la partenza nel cuore del Parco Sempione proprio di fianco ai giardini della Triennale e buona la partecipazione alla gara (350 per la competitiva e 300 per la non-competitiva). Redazione di Runner's World al gran completo per il percorso più breve, io solitario sulla linea del via per quella agonistica. Ma in buona compagnia. Tre i giri previsti. Quattro chilometri per un totale di 12 Km dentro e attorno al parco. Se una volta avrei storto il naso per un percorso annodato su se stesso, ultimamente invece i giri cominciano a piacermi.

Non avendo alcun obiettivo particolare dopo lo sparo mi sono accodato al piccolo gruppetto capitanato da Re Giorgio e Danilo Goffi. Passo veloce ma agevole per le prime centinaia di metri. Ma ben sapendo che sarebbe stato inopportuno sfidare il destino con già 32°C sul termometro, piano piano mi sono adattato al mio passo. In realtà tutto a sensazione, perchè il cronometro l'ho riguardato solo una volta conclusa la gara. Circa trecentro metri di sterrato nel parco per poi uscire subito sulla pista ciclabile che lo circonda. Passaggio davanti all'Arena Civica e lungo rettilineo che ci ha portato verso Piazza del Cannone. Sempre rimanendo sulla pista ciclabile, circumnavigazione di Castello Sforzesco per rientrare nel parco dall'entrata opposta della piazza. Qualche centinaio di metri ancora sui sassi del parco, per riuscire e passare davanti all'entrate della Triennale. Di nuovo piccolo pezzo di sterrato interno, ciclabile e passaggio davanti all'Arco della Pace, prima di riprendere la strada verso la partenza/arrivo con le ultime centinaia di metri tra sassi e terra battuta. Già al primo giro mi sarei voluto fermare.

Tanta fatica e primi quattro chilometri chiusi in 15' esatti (3' 44" di media). Con mia somma sorpresa ho poi scoperto che il secondo chilometro, pur pensando di rallentare, è stato il più veloce della (mia) serata a 3' 35". Se avessi guardato il cronometro avrei sicuramente tirato i remi in barca e il freno a mano per paura di scoppiare. Analizzando grafici e intermedi è invece ben evidente come il chilometro più lento sia sempre stato il terzo (poi settimo e undicesimo), con un falsopiano fastidioso per le gambe affaticate e una percentuale di sterrato maggiore che in altri tratti. Ma questo probabilmente l'ho notato io e non sicuramente chi, come Giorgio, ha chiuso la sua corsa a 3' 23" di media.

Quello che invece mi è passato nella mente lungo i dodici chilometri di gara è difficile da raccontare. Paura di strafare, come sempre. Ma soprattutto adesso, in un periodo dove la fatica sembra triplicata. Ma anche tanta voglia di non mollare, di dimostrare (a me) che la voglia di correre (e di lottare) non se ne è andata. Voglia anche di provarci, pur non sapendo quanti avessi davanti a me (ho sempre saputo di essere tra i primi dieci) non ho mai abbandonato l'idea di provare a strappare anche con i denti il podio di categoria. Ma anche grande tentazione di rallentare il passo, lasciar perdere la competizione e pensare solo a portare a casa un buon allenamento. Pensieri che si sono ingarbiugliati, rincorsi, scontrati, mentre le gambe non hanno mai smesso di macinare i chilometri con un ritmo più che regolare.

Questa la cosa che più mi ha stupito. La regolarità del passo. La sensazione che ho avuto in gara è stata di un progressivo rallentamento (che in realtà c'è stato, ma non così evidente come pensavo). Come al solito il secondo giro è stato il più difficile, con la stenchezza dei primi quattro chilometri a inzuppare la canotta e la prospettiva di soffrire ancora per il doppio del tempo. Ma come sempre è stata solo una questione di tener duro. Non guardare troppo avanti, ma guadagnare un metro alla volta, senza farsi tentare dalle sfide spalla-spalla con gli avversari, mantenere la calma e il momento propizio per sferrare l'attacco decisivo. Non mi sono mai voltato per guardarmi alle spalle. E questo sicuramente mi ha aiutato a non perdere fiducia. Ma cercare di mantenere il posizionamento di gara non è stato semplice. Per i primi due giri ci siamo contesi in tre la nostra posizione, scavalcandoci in più di un'occasione e perdendo metri in altre. Ma è stata la terza frazione a fare la differenza. Complice la contemporanea partenza della gara non-competitiva al nostro ultimo passaggio.

Nonostante lo speaker avesse più volte detto che la parte di percorso a sinistra fosse destinata a chi stava correndo la gara competitiva e la parte destra per gli amatori, dopo il terzo ritorno sotto l'arco di partenza/arrivo ci siamo ritrovati di fronte ad un muro umano di maglie bianche. No respect (voglio dedicare un articolo proprio a questo argomento in particolare nei prossimi giorni). Lo slalom iniziale e il continuo chiedere permesso col passare dei metri si è trasformato in un urlo spasmodico (e poco amichevole) per cercare di far spostare gente con auricolari alle orecchie che non ha mai minimamente pensato a chi stava arrivando alle loro spalle con già mezz'ora di corsa tirata nelle gambe. Fortunatamente il ristoro mi ha fornito qualche bottiglietta d'acqua per segnalare sulla schiena dei malcapitati che mi sono ritrovato davanti di lasciare strada libera. E nonostante il disguido, il ritmo è clamorosamente aumentato grazie alla concitazione e all'adrenalina del momento.

Uscendo per l'ultima volta dal parco mi sono ritrovato solo. Un'accelerazione che ho sperato di non pagare poi nei chilometri successivi. Superare è diventato più facile sulla pista ciclabile e poco più avanti ho riconosciuto la maglia colorata di chi mi precedeva di qualche secondo, l'amico Mattia. Raggiungerlo è stata l'obiettivo finale. Una rincorsa tranquilla e costante, col passo leggermente più veloce che nella parte centrale di gara. Forse avrei potuto anche osare qualcosa in più, ma dirlo a posteriore diventa sempre molto più facile. Quando all'ultimo chilometro l'ho affiancato abbiamo poi corso insieme fino alla fine, fianco a fianco, senza nessuna sfida improvvisata, accontentandoci di essere lì, in quel momento, insieme. Il cronometro ha segnato 46' 52" (3' 54" di media finale), un (o meglio dire due) ottavo posto assoluto e un meritato terzo gradino del podio di categoria (SM40). Gradino che chissà se riuscirò mai a salire, dato che le premiazioni (di categoria) sono state rinviate a dopo l'estate (!).

Probabilmente è stata la tranquillità di non dover (voler) dimostrare nulla a trasformare le gambe. Ritmi che non avrei mai pensato di riuscire a tenere nemmeno per un chilometro. Volevo mettere le basi in questo periodo e finalmente qualcosa mi fa ben sperare. Forse, le ripetute notturne (leggi qui l'articolo) servono davvero più di ogni altra cosa.