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Staffetta alla Unesco Cities Marathon

Più di ogni altra cosa, quello che rimarrà nei miei ricordi di questa Unesco Cities Marathon sarà la facilità di corsa. Erano anni che non sentivo le gambe così cariche, esplosive, libere. Come se fossero loro a trasportarmi e non io a farle girare. La sensazione e la voglia di non smettere mai. La pazzia di volerci provare, anche se la ragione direbbe di non farlo. Ma anche la sicurezza di sapere quello che si sta facendo. La consapevolezza che è la giornata giusta per provarci. E il pensiero di avere un compagno pronto a darti il cambio, con la stessa voglia, la stessa grinta, la stessa determinazione. Una spinta a fare ancora meglio, perchè siamo una squadra. Il podio diventa il premio, quella ciliegina sulla torta che trasforma una bella gara in una giornata fantastica. Quel tassello che ti fa pensare che allora è ancora tutto possibile.


Si ringrazia Foto Petrussi per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

Mi sono ancora emozionato a scrivere queste poche righe, perchè ho rivissuto in un momento una corsa durata 2h 40' 01". Le immagini mi sono passate in un attimo davanti agli occhi, la fatica è risalita nelle gambe, il caldo mi ha arrossato le guance. Ma sentirsi ritrovati, dopo mesi e mesi di rincorsa è stato bello. Bello. Perchè gli allenamenti, i sacrifici, le attese, alla fine ripagano sempre. Ed è solo l'inizio, anzi la quasi-fine dell'inizio. Alla Maratona di Milano mancano ancora due settimane ed è quello per cui stiamo lavorando. Un grazie immancabile non posso che darlo al prof. Massini, che ci ha creduto quanto me. Gli ho scritto giovedì preoccupato per la fatica fatta in allenamento e lui mi ha solo detto stai tranquillo, vedrai che andarai alla grande. Ed ha avuto ancora una volta ragione. Siamo andati alla grande.

Questa volta, per la prima volta (per fortuna o purtroppo), la gara di coppia non l'ho fatta con Chiara. Alla fine i nostri obiettivi comuni sono di quarantadue chilometri ed entrambi avevamo un allenamento di 26 Km da portare a casa. Per cui la scelta più saggia è stata quella di sacrificarci e correre separati, ma insieme sulla stessa tratta. Corro Ergo Sum che si è sdoppiato ed ha portato al via due coppie: Dario&Franco per la gara maschile, Chiara&Silvia, le Corro Ergo Sum Sisters, per quella femminile. Perchè sorelle lo sono veramente. Per me e Chiara la prima parte di gara, da Cividale a Palmanova. Per Franco e Silvia l'ultima parte fino all'arrivoad Aquileia.

E per me, in programma la gara ma anche un allenamento di tutto rispetto. E timore. 2x8000 a 3' 50" con recupero sempre di 1x8000 a 4' 10". Visti i ritmi dei precedenti lunghi e le ultime sedute di ripetute in settimana, un grosso punto interrogativo davanti agli occhi. Il ritrovo al Ponte del Diavolo di Cividale mi è quasi sembranto di cattivo auspicio prima della partenza. Ma ne abbiamo approfittato per un nuovo patto (col diavolo) e per salutare qualche amico martesano incontrato quasi per caso. Ormai in qualsiasi gara ci troviamo c'è sempre l'occasione per salutare qualcuno. Ed anche questo è il bello. Ai piedi le quasi illibate Adidas Boston, da provare in vista maratona. Già durante il riscaldamento la sensazione è stata ottima. Leggere, salde, reattive. Una bomba.

Partenza e percorso sono sempre uguali alle precedenti edizioni, ma la prima parte di gara (per me) è stata completamente nuova, visto che lo scorso anno avevo corso solo il finale dopo Palmanova. Clima fresco, soprattutto alla mattina presto, ma ideale per correre. Cielo terso, azzurro, aria pulita, carica di ossigeno. E appena riempiti i polmoni lo sparo del via. I pochi kenyani che si giocano il podio prendono il largo nel giro di poche centinaia di metri, ma tra gli inseguitori ci sono subito anche io. Posso permettermelo solo perchè la mia distanza è di solo due terzi di gara. Ma anche perchè il prof. Massini ha avuto ancora ragione, le gambe girano a meraviglia. Non spingo al massimo, ma so benissimo che il primo chilometro sarà comunque troppo veloce. E infatti è subito un 3' 32". Sono contento perchè so che posso rallentare ma mantenere il ritmo dettato da Fulvio. La gamba è agile, il piede spinge bene, il respiro regolare. Meglio non potrei sentirmi. E la strada leggermente in discesa. Andiamo verso il mare, per cui un leggerissimo dislivello favorevole fin quasi a Palmanova (100 m in 22 Km). Fila da subito allungate. Non ho contato precisamente, ma ad occhio so di essere intorno alla decima posizione (circa novecento partenti da Cividale tra maratona e staffetta, nda).

Ho provato a portarmi sui ritmi da tabella, ma dato che dopo il terzo chilometro ancora il cronometro ha continuato a segnare una media di 3' 45" ho deciso di andare a sensazione e tenere il ritmo. Proseguire con una leggera spinta senza esagerare fino alla fine della prima serie, all'ottavo chilometro. I cartelli del chilometraggio FIDAL si sono susseguiti ad una velocità quasi innaturale, abituato ormai a ritmi più lenti. In cielo qualche parapendio a motore ci ha accompagnato per il tratto iniziale di gara. L'organizzazione è stata invece pressochè perfetta. Strade completamente chiuse al traffico e ad ogni incrocio un addetto alla sicurezza al controllo. Forse un po' troppe bici in mezzo a...lla carreggiata che in qualche caso hanno dato più fastidio che aiuto. Ma si sa, l'intelligenza è una cosa personale. Pubblico non molto, soprattutto ad inizio corsa, con il percorso che si è snodato lontano anche dai paesi più piccoli e dispersi alla base del Collio.

Davanti a me qualcuno si è unito in piccoli gruppetti. Non sapevo esattamente quanti e quali fossero i miei avversari in staffetta. L'unica certezza è stata la coppia che sarebbe arrivata prima classificata, dove il kenyano è andato subito in fuga con il gruppo di testa. Attorno al quinto chilometro mi sono accodato ed ho superato una coppia slovena. Un maratoneta (triatleta) e uno staffettista. Sapevo già che appena avrei rallentato mi avrebbero superato, ma ho dovuto anche pensare a fare il mio allenamento. Ho quindi proseguito in solitaria con un ritmo praticamente costante fino al primo terzo di gara e appena usciti dalla zona industriale di Leproso, ho rallentato il passo. Sensazioni ottime, in forze. Le gambe nonostante lo sforzo non ancora stanche. E infatti il recupero che ne è conseguito mi ha lasciato sbalordito. Avrei dovuto rallentare fino ai 4' 10", ma la gamba non hanno mollato i 3' 50" (velocità alla quale avrei dovuto fare le rieptute, nda). Ma sapevo di stare facendo bene. Mi sono sentito bene. E pensando a Franco che mi stava aspettando a Palmanova ho deciso che ci avrei provato.

Sono andato a sensazione ma mantenendo il passo costante. Avrei dovuto riaumentare il ritmo al sedicesimo chilometro, ma ho aspettato fino al diciottesimo per poi provare dare il tutto per tutto nell'ultima serie. Ma anche se avessi dovuto continuare allo stesso passo fino alla fine non sarebbe stato certo un disastro, anzi. Poco dopo il ristoro del decimo chilometro (37' 24"), come previsto, sono stato ripreso dalla coppia slovena che ho sentito risalire piano piano alle mie spalle. Li ho lasciati sfilare, accorgendomi che erano diventati un quartetto. Ma l'unico staffettista è rimasto quello che già conoscevo. Ritmo attorno ai 3' 45" ma l'ho visto affaticato ed ho cominciato a pensare di poterlo recuperare prima della fine. Il distacco è aumentato piano piano, ma rimanendo sempre con un contatto a vista.

Abbiamo sfioriato Manzano e ci siamo buttati verso San Giovanni al Natisone. La strada abbastanza regolare, con qualche curva che non ha però dato fastidio al ritmo. Sono stato indeciso se usare preventivamente l'unico carbo-gel che avevo con me al ristoro del 15 Km o a quello del 20 Km per il rush finale. A San Giovanni abbiamo incontrato il primo tratto irregolare, con le vie strette che attraversavano il paese e la strada che salivano leggermente. Un piccolo sottopassaggio che ha rotto il ritmo e un addetto che invece di indicarmi la strada da seguire si è perso in chiacchiere con un passante. E quando ho finalmente deciso di usare subito il gel per un aiuto nel finale un po' più carico, è stato il destino a suggerirmi di fare tutto da solo facendomelo scivolare a terra. Un bene provare anche questo in preparazione, perchè in maratona non deve succedere.

Tra il quindicesimo e il sedicesimo chilometro, seguendo in lontananza il letto del Natisone, abbiamo sfiorato la zona industriale La Brava. Mi era sembrato di vedere un nutrito pubblico e di sentire il rumore di casse in sottofondo dei classici gruppi di accompagnamento della maratona. Ma quando siamo passati al fianco dei capannoni la realtà ha aperto uno scenario quanto mai tragicomico. Lungo il muretto che delimita il parcheggio sulla strada una folta sequenza di ragazzi, intontiti, vestiti pesantemente con felpe e cappucci scuri, scarpe inverosimili. Storditi, musi lunghi, quasi addormentati che sono rimasti indifferenti al nostro passaggio. La musica del rave pompava ancora da dentro il capannone. Noi in silenzio siamo passati a qualche metro. Ma è come se non ci fossimo mai stati.

La strada però è proseguita. Abbiamo passato Medeuzza e qualche timido applauso ha cominciato a farsi sentire. La mezza si è avvicinata e alle spalle ho cominciato a sentire qualcun altro avvicinarsi. Ma le gambe non hanno rallentato. Non hanno dato il minimo segno di cedimento, anche se la stanchezza è cominciata ad arrivare. Due maratoneti mi hanno sfilato, ma questa volta non li ho lasciati andare e mi sono accodato. Ho aumentato leggermente il ritmo per rimanere al loro passo. Il sole è diventato più caldo, ma senza dare fastidio. Siamo saliti sul ponte che attraversa il Fiume Torre. Tutt'intorno una distesa di campi a perdita d'occhio. Tanto silenzio e nemmeno il rimbombo del tocco dei piedi sull'asfalto si è fatto sentire. Alle spalle qualcun altro si è avvicinato e dagli incitamenti ho capito che era Marija Vrajic. Ma non ci ha mai raggiunto.

Poco prima del passaggio alla mezza, i miei due compagni hanno allungato leggermente. Lo stesso ho fatto anche io, perdendo comunque terreno e rimanendo solo per l'ultima volta. Il cronometro al ventesimo ha segnato 1h 16'. Un rapido calcolo ed ho capito che sarebbe potuta essere giornata di personale sui 21 Km se ci avessi provato. Ma ci sarà tempo anche per quello se le gambe continueranno su questi ritmi. Staccando comunque un buon 1h 20' 13" che non registravo da tre anni. Tutta fiducia. Tutta forza. Tutte gambe. Ho cominciato il conto alla rovescia, ma contemporaneamente anche i piedi hanno iniziato ad avere qualche problema. L'appoggio non è stato più ideale, le gambe non si sono più mosse controllate e i chilometri hanno cominciato a pesare. Ho spinto, ma la fine del falsopiano in discesa l'ho sentito.

Ma mentre io ho aumentato leggermente, davanti i gruppetti hanno cominciato a sfaldarsi. Entrando a Jalmicco ho riconosicuto in lontananza il mio amico sloveno. Scomposto e affaticato è diventato il mio obiettivo. Un'altra maglia bianca che non avevo ancora visto lo stava precedendo di poco. Palmanova ha cominciato ad intravedersi in lontananza appena lasciato il paese. In realtà solo i bastioni delle mura dietro alle quali le case della città si nascondevano. E' una cosa che ogni volta che vedo mi affascina incredibilmente. Ho cercato con lo sguardo anche il gonfiabile del 25 Km dove sapevo ci sarebbero stati lo speaker e un po' di gente. Curva e controcurva ed è apparso. Dalle casse, ancora in lontananza, ho scoperto che erano in due a precedermi, esattamente quelli che stavo inseguendo da qualche chilometro. Ma intanto le centinaia di metri sono diventate decine.

La strada è salita leggermente verso la porta est di Palmanova. Lanceri e trombettieri in costume medioevale ci hanno dato il benvenuto. Ho sfilato il chip-testimone dal braccio per passarlo subito a Franco in zona cambio e avvicinandomi allo slavo mi sono accorto che lui lo aveva ingenuamente legato alla caviglia. Lo hai fatto sbagliato... ho pensato. Ho accorciato i metri di distacco, allungando nell'ultima parte della mia frazione appena entrati nella bianca piazza nel centro città, recuperando una posizione e sfilando in mezzo alle transenne dense di staffettisti in attesa della loro partenza. Franco ha subito riconosciuto la canotta verde di Corro Ergo Sum. Un attimo dopo è stato lui a sobbarcarsi la fatica finale.

La leggenda, ormai tramandata di bocca in bocca, vuole che Franco abbia subito recuperato un'altra posizione, mantenendo inconsciamente il ritmo già impostato da me. L'ultimo avversario lo ha recuperato e superato poco prima dell'arrivo ad Aquileia dopo essersi accodato per qualche chilometro ed averlo fustigato psicologicamente. Pochi secondi di vantaggio sia sulla terza che la quarta coppia (slovene) e la seconda piazza assoluta salda nei nostri piedi. Le Corro Ergo Sum Sisters hanno invece occupato inconsapevolmente il terzo gradino del podio femminile (sesta settimana di fila per Chiara, nda) con una prestazione tranquilla e senza pretese. Io ho chiuso con un inaspettato 1h 38' 32" che paragonato ai 26 Km alla Brescia Art Marathon di due settimane fa ha tutt'altro sapore (con una proiezione sui trenta di 1h 53'/54'). 3' 48" di media finale, che spero non vadano a incidere negativamente tra due domeniche sulla Milano Marathon. Ma la fiducia adesso c'è. La forma anche. Non resta che crederci. E correre.

Il mio articolo, Unesco Cities Marathon sempre più bella su Runnersworld.it