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52° Monza-Resegone

Adesso lo so. Adesso so cosa voglia dire Monza-Resegone. Erano anni che volevo provarla ma per un motivo o per un altro non c'ero mai riuscito. Adesso so quali sono le mille sfaccettature di una gara che veramente non ti perdona. C'è tutto racchiuso nei suoi 42 Km (o quarantatre?). C'è la corsa, la passione, la maratona, la montagna, la fatica, l'amicizia, l'imprevisto, l'incitamento. C'è tutto quello che per un runner è vita. C'è e lo scopri passo dopo passo, dando uno sguardo ai tuoi compagni nel buio della notte o battendo il cinque ai bambini che riempiono le strade come fosse un giorno di festa; lo scopri salutando e incitanto le altre terne che superi lungo la strada o stringendo i denti quando senti che arriva il tuo turno di fatica; lo scopri quando senti che non sei solo e che i tuoi compagni sono li pronti a tenderti una mano o quando arrivi in cima all'ultimo ponticello e capisci che ce l'hai fatta. Man mano che il tempo passa la stanchezza e la fatica stanno diminuendo e affiorano i ricordi di quella che è stata una grande avventura, le emozioni che ti fanno dire, come ogni volta, l'anno prossimo voglio essere ancora lì. Con Voi.

    Si ringraziano Podisti.net Roberto Mandelli e Arturo Barbieri per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

    L'estrazione dell'ordine di partenza non ci era andata benissimo, oltre la metà della griglia maschile. Prima le terne femminili, poi le miste e poi quelle maschili. Si, perchè per chi non lo sapesse, la Monza-Resegone è una gara a cronometro a squadre. Io, Lorenzo e Paolo. Non avrei potuto avere di meglio. Io, novello della corsa. Lorenzo, giovane ma già un piccolo campione. Paolo, con l'esperienza di quindici Monza-Resegone alle spalle. Non avevamo mai corso insieme prima di ieri sera, tolti quei pochi chilometri casuali fatti con Paolo una domenica di un anno fa. Come ormai è abitudine della gare importanti passo quasi tutto il pre-gara salutando amici e conoscenti che poco a poco arrivano al punto di ritrovo: Laura, Rocco, Manlio, Pier, Elena, Gabriele, Plinio, Cris, Lele, Cune, Zio e Marco. A sorpresa scopro che c'è anche Tito tra i partecipanti con mille altre facce conosciute. E' una festa. E' sempre una festa quando si corre, soprattutto quando si corrono gare importanti, sentite. La corsa parte alle 21, noi siamo in griglia alle 22.05, pettorale 196. Mi ritorvo con Paolo e Lorenzo e siamo abbastanza tranquilli ma carichi al punto giusto. Il pubblico comincia a raggrupparsi attorno alla rampa di partenza. Noi ci organizziamo con chi ci seguirà lungo il percorso facendoci da assistenza, Simona e marito. Poi è il nostro turno. In coda la tensione sale fino a quando non sbuchiamo dal telo di partenza per le foto di rito. Siamo una squadra e ci stringiamo per un attimo in un abbraccio. Mentre il pubblico applaude e ci incita leggono i nostri nomi. E' come essere in un'altra dimensione, per noi non abituati ad essere primedonne. Poi è il via. La mia prima Monza-Resegone. Passiamo attraverso due lunghe ali di folla che riempiono il centro di Monza. I bambini si sbracciano per avere un cinque mentre i conoscenti ci salutano al passaggio. Qualche centinaio di metri e l'euforia iniziale si smorza. Controlliamo subito il ritmo con Lorenzo che dà il passo. Siamo tutti e tre uno di fianco all'altro. Davanti a noi vediamo subito le squadre che ci precedono. Non ci impieghiamo molto a recuperare le prime. L'obiettivo è stare attorno alle quattro ore totali e il ritmo a 4' 25" è perfetto per la prima parte di percorso. La cosa che da subito mi colpisce è la quantità di gente che incontriamo per la strada. E' sabato ed è tardi eppure lungo il percorso è pieno di persone che incitano tutte le squadre al passaggio. Lorenzo è un po' la nostra prima-stella ed un sacco di gente lo saluta. E' bello vedere come tutti vogliano partecipare. Fa caldo, ma non sembra essere eccessivo. Non sembra. Passiamo i primi chilometri col problema di doversi un po' rallentare per non arrivare scarichi all'inizio della salita vera. Villasanta, Arcore, Usmate, Osnago e in men che non si dica siamo già al quindicesimo chilometro. Il passaggoi nei centri abitati è una spinta adrenalinica unica. E' inutile negarlo, il pubblico, il tifo, i sorrisi, gli applausi, le urla sono carburante prezioso. E ad ogni bagno di folla è come una ricarica per gambe e testa. In tanti poi fanno caso al nostro numero di pettorale e vedono che stiamo recuperando posizioni su posizioni. Superiamo tante squadre ed anche quella è una buona dose di fiducia. Ma la cosa bella è soprattutto passare e salutare gli altri incitandoli, incoraggiandoli, dicendo di tenere duro. Una dose di fiducia per loro e per noi. Lorenzo poi ama la folla e quando la vede un po' scarica la incita ad applaudire ed allora sono mani che si alzano e grida che si sprecano. E io sorrido. Sempre. Perchè è bello esserci ed è bello correre per assaporare in ogni momento questo clima. Per me poi è una novità e me la godo fino in fondo. Se Milano riuscisse a capire la bellezza di uno spirito simile diventerebbe la capitale del running italiano. Intanto proseguiamo. La macchina che ci fa assistenza ogni tanto ci affianca per darci le nostre riserve di sali e zuccheri. Non abbiamo ancora in testa le nostre lampade frontali e ogni tanto tra un paese e l'altro corriamo immersi completamente nel buio. Ostacoliamo un po' il traffico ma nessuno sembra lamentarsene troppo. Intanto ogni tanto la mia testa vaga guardando le stelle, pensando all'arrivo, alla salita, a chi vorbbe esserci ma non c'è, alle fatiche di quest'anno che è giunto al suo epilogo. Teniamo ancora bene il ritmo e continuiamo a salire, poco alla volta. Cernusco Lombardone, Merate, Cicognola, Calco e siamo a metà corsa. Controllo di tanto in tanto i miei compagni e tutto sembra andare bene. Più avanziamo e più chi ci guarda da fuori ci incita vedendo il buon passo che stiamo tenendo. Ormai le squadre che abbiamo superato sono decine, qualcuno comincia a dire al nostro passaggio, con accento brianzolo, "ué, centonovantasei, questi vanno forte eh!". Io sorrido ogni volta. Andiamo bene e ce ne rendiamo conto. Da Calco in poi inizia una lunga discesa che mi segna un po' le gambe. L'acqua fresca che mi cade sulle cosce mentre bevo ai ristori mi da sollievo e mi accorgo del caldo. Ho un po' paura per i crampi che inevitabilmente arriveranno più avanti e bevo, acqua e sali. Forse troppo, ma ancora non lo so. Beverate, Airuno, Olginate. Siamo tra il 25 Km e il 30 Km e cominciamo a pagare pegno. Il passo non cambia di molto, ma Paolo inizia a subire la corsa, un po' meno abituato rispetto a me ed a Lorenzo alle classiche corse lunghe. Qualche crampo e la testa che gira. Ma noi siamo una squadra. Lorenzo continua a dare il ritmo davanti ed a recupera da bere, io lo affianco e cerco di supportarlo. Psicologicamente avere qualcuno di fianco o dietro invece che vederlo sempre davanti, come qualcuno da raggiungere, è importante. Chiudo il gruppo e proseguiamo. Paolo però si vede che non è a posto, ma dobbiamo farlo arrivare alle salite, lui è il nostro stambecco. I chilometri intanto si accumulano e anche le mie gambe cominciano a sentirne il peso. Recuperiamo ancora tante posizioni, davvero quasi mi stupisco di quante siano le squadre che superiamo. La cosa incredibile è vedere tanta gente che è ormai alla frutta. In molti camminano, in tanti si trascinano sfiniti. Alcuni per mano, altri piegati in due. Noi andiamo. Con Paolo che lotta con la sua testa e il suo fisico, con Lorenzo che continua a dare il ritmo, con me che cerco di non pensare alle mie gambe ed a tenere unito il gruppo. Il tifo aumenta man mano che ci avvicinamo agli ultimi paesi. Il nostro numero di pettorale sbalordisce sempre di più. Lottiamo ed andiamo avanti. A Calolziocorte inizia la vera Monza-Resegone. Chilometro trentadue. La strada si impenna. Inziano le salite che tagliano il paese ed i tornanti. E' buio, la mezzanotte è ormai passata da un po'. I crampi per la distanza cominciano a farsi sentire. Passiamo il ponte che divide il Lago di Lecco e l'Adda e rimango sbalordito dalla bellezza del paesaggio che non avevo mai visto. Per un attimo la mente si stacca dalla corsa. Recuperiamo le lampade frontali e le bottigliette quasi vuote dai nostri assistenti che salutiamo per l'ultima volta. E saliamo. Saliamo mentre viene al voglia di cedere. Io non so ancora cosa mi aspetta ma è dura. Per le gambe e soprattutto per la testa. Fa caldo, ma un caldo umido che non si sente a pelle. E in tanti la pagano. Cominciamo a fare dei tratti camminando quando Paolo non ce la fa lungo le prime salite ripide. Ed è una boccata d'aria anche per me. Il mio polpaccio sembra reagire bene. Cerco di non pensarci. Lorenzo intanto ci tira. Lui di problemi sembra proprio non averne ed è importante. Forse potrebbe fare molto meglio di noi se fosse da solo, ma noi siamo una squadra. E lo sento. E' difficile spiegare come sia possibile che tre persone che non si conoscano possano fare squadra, eppure... è la corsa. Ed è forse questa la cosa bella di questa gara. Ci immergiamo nei tornanti che portano prima a Rossino e poi ad Erve. E' solo buio, con un orrido profondissimo alla nostra sinistra che vedrò solo al mattino, con la luce. Saliamo le curve. Non c'è più pubblico. E' il momento della crisi per molti. E sono ancora posizioni che recuperiamo. La salita diventa pesante, il passo corto. Le luci sulla fronte sono accese da un po' ed ogni tanto si riconosce qualche faccia conosicuta. A sorpresa incontriamo Cris e Lele orfani del Cune. Ma li incitiamo lo stesso, nonostante davvero anche le mie gambe comincino a dare segni di squlibrio. Intanto Paolo stringe i denti perchè sa che manca poco all'ultimo salto. Il serpentone di curve sembra non finire. Le luci del paese non si vedono. E saliamo. Un passo alla volta. Ogni tanto una piccola sosta per qualche secondo e poi ancora su. Quando iniziamo a vedere la fila di auto in sosta lungo il costone roccioso della strada sappiamo ache siamo all'ultima tappa. Entriamo ad Erve e appena passato il rilevamento cronometrico del cancello ho una crampo al flessore della coscia sinistra. Mi fermo qualche secondo mentre Paolo e Lorenzo avanzano lentamente per aspettarmi. Tiro la gambe e mi concentro. Parlo alla mia gamba, la massaggio, mancano gli ultimi sei chilometri, i più duri. Ripenso anche che è giusto che sia così, che per chiudere questa giornata, questa gara, questo anno, deve essere così, niente di facile, l'ultima sofferenza per poi ripartire. E penso alla cima, nascosta dal buio della notte dietro alla montagna. Raggiungo i miei compagni ed insieme iniziamo il sentiero che ci porta verso Capanna Monza, 1173 m, seicento metri più su. Siamo a 3h 03' 10". La mia testa ormai vince sulle gambe e mi tiene occupata la mente ripercorrendo sentieri molto più duri di quelli che stiamo facendo. Lorenzo ci tira. Paolo tiene duro mentre i quadricipiti ogni tanto gli si bloccano. L'unica luce che ci guida ormai è solo sulla nostra fronte. Ci inoltriamo nel lungo sentiero in single-track che ci porta sempre più su. Davanti a noi vediamo un lungo serpentone di piccole luci che ci precedono segnando il percorso come fossero decine di lucciole in un prato. Partiamo e superiamo più gruppi che possiamo. Noi sempre uniti, la maggior parte invece spaiati. Ai controlli il 196 è sempre "al completo", perchè siamo una squadra. Paolo poco alla volta sembra riprendersi, almeno di testa, nel tratto che è fatto per lui. Passa in testa al nostro gruppo e ci guida. Io con la montagna ho sempre avuto un buon feeling e non mi preoccupo più di tanto, anche se le gambe soffrono i trentasei chilometri abbondanti che hanno percorso. Saliamo. Il sentiero ben presto diventa una ripida salita dove ci si deve aiutare con braccia e gambe insieme. E' il Prà di Ratt, sulla bocchetta del Forcellino. E questa davvero non me l'aspettavo. Almeno non così duro. Per la prima volta ho voluto fare una gara senza controllare approfonditamente il percorso, io che di solito invece amo avere riferimenti. E forse è stata la scelta giusta perchè vederlo di giorno avrebbe fatto paura. Ma noi scaliamo, ci tiramo avanti superando in più punti. Ho qualche piccolo crampo ai piedi dovuto alla suola delle scarpe da running troppo morbida per il tracking. Non si vede nulla attorno e il sentiero è stretto e pericoloso. Guardo in alto, ma è il nulla. Comincio davvero a fare fatica. Ogni tanto guardo il cronometro per avere un riferimento temporale di quanto manca all'arrivo. E i minuti passano, i metri diminuiscono. A circa metà salita però comincio a non sentirmi più bene. Un peso che dallo stomaco prende la testa. Una sensazione strana. La temperatura intanto cala di qualche grado anche se l'umidità , immersi nel bosco che ci accompagna fino in cima, non diminuisce. Inizio a fare fatica a mantenere il passo mentre il senso di nausea cresce. Lotto con la testa per farlo passare, ma nulla. Cerco di non farmi vedere troppo affaticato, ma ad ogni passo la situazione peggiora. Sono indeciso se provare a vomitare subito o aspettare la cima. Proseguo. Lorenzo mi avanza all'ultimo ristoro dove, sbagliando, bevo ancora. Non manca ormai molto e il grosso di quelli che ci stavano davanti è ormai dietro. Mi trascino più che posso perdendo qualche metro dagli altri. Ma vado. Un passo alla volta, come sempre. Gli ultimi cinque minuti sono un incubo. Un ultimo gruppo che ci separa dall'arrivo, rimango arretrato, Paolo e Lorenzo chiamano dal davanti per sapermi dietro. Io rispondo a fatica, ma ci sono. In un piccolo spiazzo riesco anche io a superare e li raggiungo. Le luci di Capanna Monza sono poco più sopra. Ci riuniamo, perchè siamo una squadra. Saliamo gli ultimi piccoli scaloni che ci separano dall'arrivo. Incrociamo Tito che sta già ridiscendendo. Io neanche lo riconoscerei se non mi salutasse e non mi incitasse. Un solo piccolo cenno, non riesco a fare di più. Guardo solo avanti e seguo i miei compagni che mi portano all'arrivo, 4h 04' 52", 23esima squadra assoluta. Ci fotografano, ci stringiamo in un unico abbraccio come alla partenza, ma non so nemmeno che faccia possa avere. La Capanna è piena, c'è già tanta gente e ancora tanta ne arriva. Cerco un posto dove sedermi e provare a riprendermi ma nulla. Non resta che provare a "svuotarsi" e così faccio. E capisco tante cose. Più di un terzo delle squadre non ce l'hanno fatta, i tempi molto più alti rispetto agli anni precedenti. Il caldo-umido impercettebile che ci ha accompagnato dalla partenza è stato il vero nemico. E così è spiegato anche il mio senso di nausea. Troppa acqua, troppi liquidi. Ma anche questa è tutta esperienza. Poi rimane solo l'attesa di sapere com'è andata e di ridiscendere. Noi aspettiamo il mattino, quando la luce dell'alba rischiara i sentieri da cui siamo saliti. Vedo per la prima volta dove mi trovo, con il Lago di Lecco in lontananza, il cielo azzurro e il profumo degli alberi appena svegli. Le gambe fanno male ed ogni passo, ogni piccolo saltello ricorda alle cosce cos'è successo la sera prima. La stanchezza è quasi inebriante. Ci è voluto più di un giorno per riuscire a schiarire la mente ed a ripercorrere tutta la gara. Adesso però so perchè l'ho fatto. E' una corsa diversa. E' una cosa diversa. Non c'è un vincitore, c'è solo una squadra e la voglia di arrivare insieme. Ognuno con i suoi piccoli guai. L'ultimo grazie è solo per loro, Paolo e Lorenzo. La mia squadra.