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I miei segreti sulla Abu Dhabi Marathon

È più forte di me. Non riesco a resistere alle sensazioni che ogni volta la maratona è in grado di regalare. Non importa se correndola o da spettatore. Se da pacer o da apripista. Se da giornalista o da tifoso. La maratona è emozione. È vita. È amicizia. È passione. E la si legge negli occhi di tutti quelli che incontri. Che sia quella di New York o quella di Abu Dhabi

Prima di iniziare a scrivere quest’ultimo articolo, sdraiato per l’ultima volta sulle lenzuola bianche di quello che è stato il mio letto negli ultimi dieci giorni, mi sono riletto quelli pubblicati un anno fa (Di corsa ad Abu Dhabi, Abu Dhabi: sognando la maratona, La mia verità sulla Abu Dhabi Marathon, Correre ad Abu Dhabi) quando gli Emirati Arabi erano per me una nuova scoperta e dove ho raccontato l’esperienza con gli occhi pieni di stupore e ammirazione. Non che questa volta non ci siano stati. Anzi. Ma è stato tutto più dejavù che una sorpresa. Quello che invece non è cambiato è quello che ho raccontato, rivissuto, confermato. Avrei potuto riscrivere le stesse righe per raccontare nuovamente le stesse cose. Vissute, passate, ma sempre nuove. 

Invece quello da cui voglio partire sono quegli occhi emozionati sotto il traguardo della maratona. Occhi che racchiudono il senso di quarantadue chilometri di sofferenza, di emozione, di dedizione, di incoraggiamenti. Occhi che vorrebbero un abbraccio o un solo cenno di intesa. Occhi che però non sono di chi ha rincorso l’arrivo, ma di chi lo ha aspettato per ore e lo ha vissuto, dietro le quinte, ad ogni suo taglio. Occhi che hanno assorbito le emozioni di migliaia di storie diverse. 

Più di una volta ho detto, a chi non l’aveva mai vissuta prima, di non perdersi (dal vivo) lo spettacolo regalato dalla maratona, fatto di tecnica e dedizione mostrata dai top runner, ma anche di sentimenti e umanità regalati dagli amatori. È incredibile vedere quello che può succedere sotto quel traguardo. Chilometri di fatica, sudore, sacrifici che si condensano in un attimo ed esplodono, inondando tutto quello che c'è attorno. Travolgendolo come uno tsunami.
Lo stesso ho rivisto anche negli sguardi di chi ha provato solo a correre pochi chilometri. Lo sapevo. Lo avevo già visto. Mi ha sorpreso comunque. È la magia della corsa, che parifica, unisce, diverte, emoziona. Senza differenze e senza confini.

Vivere Abu Dhabi

Abu Dhabi è un mondo diverso da quello a cui siamo abituati. Finto forse, nel suo voler apparire e omologare al mondo occidentale. Anche profondo, con un nazionalsimo radicato (nonostante la popolazione locale sia solo del 7-8%) e fin troppo ostentato. Ma sicuramente umano, nella semplicità di chi ci vive.
C'è stata una scena dei giorni scorsi che farò fatica a dimenticare. Ero al villaggio della maratona e passando davanti al wall delle firme, già completamente saturo di scritte e dediche, ho visto un bambino. Piccolo, minuto. Con la sua sacca gara in spalla e la gioia di essere parte di qualcosa enormemente più grande di lui. Ha cercato un piccolo spazio e con il pennarello verde ha lasciato il suo segno... “I love UAE”. Quello è il suo mondo, che nel bene e nel male ama. Qualsiasi cosa succeda. E lui vuole esserne parte.

Bambini che hanno riempito le strade della fun-run, correndo a perdifiato per i primi metri e arrancando senza mollare nel finale. Accompagnati da mamme e papà di tutte le nazionalità, bardati nei colori e nei vestiti più diversi e strani si possano immaginare. Forse per chi ha famigliarità con la corsa può apparire come una cosa normale. Ma credo che, soprattutto in una città come Abu Dhabi, sia l’eccezione. Non credo esista un altro momento in cui le differenze si appianino. Dove ricchi e meno ricchi possano trovarsi allo stesso livello. Dove non conta ostentare la propria potenza economica, ma al limite quella agonistica (anche se poi una volta usciti dalle transenne tutto ritorna come prima). 


Alcuni momenti della Abu Dhabi Marathon: foto ricordo al villaggio maratona con la medaglia (1), in gara (2) e dopo (3) con la vincitrice Vivian Kiplagat, misurazione del percorso (4).

Vita da Top Runner

Ho anche vissuto gli ultimi giorni al fianco di chi ha fatto della corsa il proprio riscatto, la propria nuova-vita. Parlo dei top-runner. Ragazzi giovani, umili, che vivono in gruppo, quasi autoemarginandosi dal resto del mondo. Quelli che arrivano primi. Quelli forti. Quelli che sono irraggiungibili e che sembrano volare sfiorando silenziosamente il terreno. Corressero dietro a un pallone non potrebbero nemmeno girare soli tra i corridoi di un albergo. Ma siccome corrono solamente, senza un pallone, rimangono solamente umili persone.
Sarei voluto uscire con loro per un allenamento. Carpire i segreti del loro essere più grandi, ma gli impegni notturni e gli orari impossibili di questi ultimi giorni non me lo hanno permesso. Ma è tutto solo rimandato. Quello che però non mi sono lasciato scappare è stato parlarci, anche solo per un momento.

Ho vissuto la mia maratona in testa alla gara femminile, accompagnando e anticipando su due ruote la vincitrice della maratona, Vivian Kiplagat (2h 21’ 11”). Impressionante nella sua potenza. Umana nella sua essenza. L'ho salutata nel dopo gara e mi ha sorpreso con il suo sorriso e il suo lungo abbraccio. Dimostrando la voglia di essere anche Vivian e non solo Kiplagat

Grazie ragazzi

Le ultime righe le voglie dedicare invece al gruppo che dall’Italia (e non solo) si è trasferito per dieci giorni sulla riva del Golfo Persico. Un gruppo formato da tante teste, da tante competenze, che si sono semplicemente incastrate per creare un evento senza eguali. Ormai sono alcuni anni che partecipo all’organizzazione di maratone e gare podistiche. Abu Dhabi nella sua crescita (non solo numerica) è qualcosa che regala sempre più soddisfazioni ed emozioni. Non importano le ore di sonno perse (qui il video della misurazione del percorso), non importa la fatica crescente, non importa la rincorsa all’emergenza. Conta il risultato. 

Lavorare in un ambiente totalmente diverso (sia climaticamente che politicamente) da quello a cui siamo abituati è una sfida continua. Ma forse è proprio quello il segreto anche per chi organizza una maratona. Arrivare sempre un po’ più in là, aggirare l’ostacolo, arrivare al traguardo. Guardarsi poi indietro e dire "ce l’abbiamo fatta".