RAK: Campioni del mondo
È ormai passato qualche giorno dal mio ritorno da Ras Al Khaimah, negli Emirati Arabi. Giorni che sono serviti per rendermi conto di quello che abbiamo vissuto. Che abbiamo fatto. Di cui stiamo stati parte. Un nuovo (doppio) record del mondo. Quello che è successo alla RAK 2020 grazie a Ababel Yeshaneh Brihane e Brigid Kosgei.
È normale puntare sempre più in alto. Fare sempre il meglio. Cercare di essere il numero uno. Non sto parlando della mia corsa (o meglio non solo), ma della mia naturale inclinazione nel fare e concepire tutto quello che faccio. Nello sport, nel lavoro, nella famiglia, nel gioco. Dare sempre tutto e fare sempre al meglio delle proprie (mie) possibilità. Solo così si può essere a posto con la propria coscienza e solo così si può pensare di realizzare qualcosa di grande. Per questo sento anche un po’ mio (nostro) il capolavoro successo la scorsa settimana a Ras Al Khaimah. Perché non siamo solo stati testimoni di qualcosa di grandioso, ma ne abbiamo fatto parte. Ognuno a suo modo. Ognuno con il suo piccolo contributo.
È chiaro che il merito e le capacità di correre per un nuovo record del mondo siano (tutte) di chi corre. Ma è anche logico che perché avvenga, debbano esserci tutte le condizioni (controllabili e non) che lo possano permettere. Se la gara fosse stata corsa anche solo tre settimane prima il clima ventoso avrebbe mandato (letteralmente) all’aria qualsiasi tentativo di batterlo. Se Ababel Yeshaneh Brihane non fosse stata al meglio delle sue capacità non avrebbe fatto quel tempo. Se ognuno di noi non si fosse impegnato al massimo per controllare ogni minimo dettaglio, non ci sarebbero potute essere i fattori ottimali perché tutto ciò accadesse.
Ogni evento sportivo eccezionale è sempre la somma di un eccellente lavoro di gruppo. Di uno staff tecnico che circonda un atleta, ma anche di uno staff esterno che crea le condizioni perché tutto possa succedere. E nei giorni in cui siamo stati a Ras Al Khaimah per preparare il nostro record del mondo, tutto questo si è sentito. Una tensione che si poteva tagliare con il coltello dal primo all’ultimo giorno, con la ricerca della perfezione in tutti quei particolari che avrebbero potuto incidere nel raggiungerlo.
Abbiamo lavorato di giorno e di notte, con trenta gradi e sotto una tempesta di vento, pioggia e sabbia. Abbiamo studiato, cambiato, misurato e rimisurato il percorso più e più volte, prestando attenzione anche al centimetro in più o in meno in curva, posizionando e risistemando chilometri di traiettorie, cercando di prevenire e anticipare ogni possibile eventualità. Nonostante tutto ci siamo ritrovati a dover correre per correggere e sistemare gli imprevisti dell’ultimo minuto, ingegnandoci, insieme. E il risultato è stato quello di avere un urlo soffocato dai brividi e dall’emozione nel momento in cui Ababel Yeshaneh Brihane ha tagliato il traguardo.
Ma in quelle braccia alzate, nella sua caduta a terra senza più energie, era racchiuso anche tutto il nostro sforzo perché tutto ciò accadesse. La sua classe, la sua forza, hanno reso tutto il nostro lavoro vivo, tutto il nostro tempo ripagato, tutti i nostri sogni reali. Anche se ogni volta non potrà esserci un nuovo record da battere, tutta questa passione renderà ancora possibile credere in un nuovo sogno. E anche se non sarà domani, prima o poi arriverà.