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Pacer alla (mezza) Firenze Marathon

La Maratona rende tutti uguali. Puoi essere forte, preparato, all'esordio, un veterano; puoi essere preoccupato, sicuro, spensierato; puoi essere allenato o improvvisare tutto. Ma una cosa è certa, non ci sarà nulla di scontato o facile. La Maratona è democratica. Ho visto entrare nelle gabbie prima della partenza runner che possono rappresentare tutta la fauna podistica, dal tapascione al top-runner, dai super-tecnologici ai vintage-veterani. Eppure tutti, in quei quarantaduemilacentonovantacinquemetri, hanno sofferto. Chi prima, chi dopo, tutti hanno dovuto pagare il conto e versare sudore sull'asfalto. Io sono stato solo un'autista per metà in questa Firenze Marathon, ma non sono stato l'eccezione alla regola.

Pacer alla (mezza) Firenze Marathon e con Valeria Straneo, Marco Marchei, Magda Maiocchi e Andrea Papini allo stand Runner's World.

Che la partenza sia uno dei problemi che accomuna tutte le (mie) gare è un dato di fatto. Ma questa volta è stato l'opposto rispetto al solito. Un ritorno al passato. Non mi ricordavo quanto fosse difficile e impegnativo partire nelle retrovie. Se ultimamente il problema è sempre stato quello di andare troppo forte trascinato dai primi, passare sotto la linea di partenza ad un minuto dal via ufficiale ha portato il problema opposto: non perdere secondi preziosi nei primi chilometri. Non più frenare le gambe che hanno voglia di mangiare l'asfalto, ma slalomare in mezzo a chi dovrebbe esserti alle spalle. Non più farsi risucchiare dalla velocità dei più forti, ma stare attento a non inciampare tra i mille piedi che ti circondano, davanti e dietro. Non più accumulare un (involontario) piccolo vantaggio da gestire nei chilometri a seguire, ma rincorrere i secondi che passano inesorabili. Non era la mia gara, ma Chiara contava su di me per quei primi metri e i seguenti 21 Km. L'obiettivo era arrivare insieme al gonfiabile della mezza in un'ora e trentacinque minuti. Sembrava non finire mai quella marea umana che ci precedeva. E dire che eravamo solo in seconda gabbia. L'ho vista preoccupata e tesa in quei primi metri. E l'unico modo per tranquillizzarla era trovare il prima possibile il nostro spazio. Aria per le gambe e per i polmoni. Ci abbiamo messo più di un chilometro, prima cercando un piccolo spiraglio tra una spalla e l'altra, poi sfruttando la ciclabile che seguiva il viale alberato del via. Un puntino viola con una folta-riccia-chioma nella sua divisa pensata per la sua maratona ed una virgola gialla e nera nel suo completo Nike con la scritta Corro Ergo Sum. Praticamente-perfetti per la nostra sfilata personale. I primi chilometri sono stati anche quelli dei saluti, amici incontrati di corsa che ci hanno seguito per qualche tratto, ma che poi hanno rallentato. Noi abbiamo tenuto il nostro passo. 4' 30" (4' 28" finali) al chilometro doveva essere e 4' 30" al chilometro è stato. Qualcosa in più in qualche tratto per recuperare i secondi persi all'inizio o per l'adrenalina dei passaggi più emozionanti. Quello che molti dovrebbero imparare (tra cui molti pacer ufficiali) è che in 42 Km c'è tutto il tempo possibile e necessario per recuperare eventuali gap-cronometrici. Non è necessario fare accelerazioni improvvise per avere tutto subito. Sono quelle che lasciano l'amatore meno esperto senza forze prima della fine. Ho sofferto particolarmente il tratto iniziale dove il continuo sopravanzare piccoli gruppetti non ti permette di correre in maniera costante e regolare. Piccole accelerazioni e decelerazioni che stancano le gambe e rompono il fiato. Chiara mi ha seguito come un'ombra, a volte troppo irruenta nel voler far bene. Ci vuole pazienza, soprattutto all'inizio. I viali iniziali attorno al centro di Firenze fortunatamente non sono finiti prima del quinto chilometro lasciando un po' di spazio per allungare le fila prima di entrare nel Parco delle Cascine. Forse qualche passaggio stretto in corrispondenza del primo ristoro, che però è quello del quale si può fare a meno. Mi ricordavo la Maratona di Firenze più facile e veloce, soprattutto all'inizio, invece è stata dura, muscolarmente parlando. La parte pianeggiante è finita quasi subito, sostituita da lunghi falsipiani che la freschezza della prima parte di gara non fa percepire ma che tornano il conto dopo un'ora. E anche tre salite importanti in meno di diciotto chilometri non sono per nulla uno scherzo. Lo stesso sottopasso fatto prima di entrare alla Cascine e ripercorso otto chilometri più tardi prima di attraversare l'Arno per la prima volta, è sembrato un nemico più forte. Fortunatamente il tempo è stato un alleato prezioso. Sole e cielo terso, un po' di vento fresco, per alcuni tratti a favore per altri cotrario. Ma ripensando alle edizioni passate meglio non poteva essere. L'ingresso al Parco delle Cascine ha riproposto a tratti il problema di inizio gara. La carreggiata si è notevolmente ristretta diventando una lunga striscia di asfalto in mezzo agli alberi del parco. Difficile superare soprattutto i gruppi più numerosi. Diversamente dai molti che ho osservato abbiamo avuto un passo quasi costante. Con tranquillità e recuperando un secondo alla volta abbiamo passato molti che ci precedevano. I palloncini verdi dei pacer delle 3h 15' davanti a noi, sono arrivati sempre più vicini. Si, davanti a noi, che avevamo invece una proiezione sulle 3h 10'. Qualcosa non mi è tornato da subito. L'andata e il ritorno nel parco si sono alternate due volte, prima esternamente poi nell'interno. Chiara non ha mai parlato. Ho ascoltato il suo respiro per capire il suo stato. Tutto regolare. Anche i miei polpacci, che mi hanno lasciato incerto se correre fino all'ultimo, non si sono lamentati troppo. Devo anche ringraziare il taping che Fulvio mi ha fatto fare in emergenza sul sinistro. Il TomTom Runner sul braccio destro e il Garmin sul sinistro non sono andati troppo d'accordo, ma le troppe curve, a volte strette, e i palazzi di inizio percorso non hanno certo aiutato tutti i gps in gara. Ma quello che interessava a me questa volta era solo l'andatura che, a parte i piccoli strappi di discesa e salita, è stata abbastanza regolare. Mi sono permesso quattro-cinque secondi di range. Il ritorno in città intorno al quattordicesimo chilometro è corrisposto al momento in cui soleo e compagni hanno cominciato a farsi sentire. Ho solo sperato di non peggiorare la situazione. Allargate definitivamente le fila, Chiara mi ha affiancato sul lungarno, prima di svoltare per la terza salita con il passaggio davanti a Palazzo Pitti. Lunghi lastroni irregolari e pesanti per affaticare un po' di più la corsa. Il pubblico è stato denso e rumoroso in alcuni tratti, soprattutto nei passaggi strategici che univano varie parti di percorso. Ma a Firenze è sempre così. Passaggi che la maggior parte delle volte ti fanno anche andare più veloci. La lunga discesa che riporta per la prima volta verso Ponte Vecchio è stato in mezzo ad un lungo corridoio di gente. Applausi, sorrisi, grida di incitamento, gruppi musicali, cinque da battere a bambini e genitori. E anche il primo (e per me unico) saluto ai nostri tifosi-personali. Chiara li cercava con gli occhi, fiera di essere lei la protagonista. E di essere lì, insieme. Ventuno chilometri che sono passati quasi in un attimo se ci penso. Ma con un dolore costante nell'ultima parte. Fatica ce n'è stata, ma è stata una fatica diversa dal solito, più di controllo che di spinta, più di testa. Nell'ultimo chilometro ho cercato di capire come stesse, guardandola concentrata sul suo obiettivo. Il cronometro intanto ha segnato gli ultimi minuti insieme, fermandosi su quel 1h 35' 10" che ci eravamo prefissati alla partenza. Missione compiuta. Nessun (solito) bacio prima di lasciarci, solo uno scambio di gel prima del ristoro e una veloce stretta di mano come in-bocca-al-lupo. Lì cominciava la sua maratona. Ma per la vera fatica c'era ancora qualche chilometro. L'importante doveva essere mantenere ancora il passo costante. Io mi sono goduto la calma del ritorno anticipato. Nessuna medaglia e nessuna applauso. Solo la coperta termica passata da un addetto della croce rossa non appena mi sono fermato. Organizzazione impeccapile. E da pacer mi sono trasformato in spettatore. Per caso ho incontrato Maurizio e Alberto vicino all'arrivo e con loro mi sono goduto quel che una maratona offre. Per primo il vincitore di giornata. Un bianco in mezzo a tanti neri. Un evento più unico che raro. A memoria l'ultimo che avevo visto fare la stessa cosa era stato Baldini, ad Atene. Ma quella era tutta un'altra storia. Poi, alla spicciolata, prima distanziati da minuti che sembravano interminabili, poi via via sempre più vicini, i restanti undicimila. Ho riconosciuto Dario (Rognoni) solo quando mi era ormai al fianco, dodicesimo assoluto. Ho aspettato gli amici di Villasanta, Cris, Marco, Lele, Cune, ma solo alcuni sono riusciti ad arrivare a quegli ultimi trecento metri dalla fine. Ho visto un runner sorreggersi alle transenne con le gambe rigide e non riuscire più a fare un passo senza cadere a terra stremato dai crampi. E' passato Gianni (Pistis) sfinito, chiudendo il gruppo dei pacer delle tre ore. I puntini in lontananza si sono via via trasformati in una fiumana di gente. Dai volti era facile capire come fosse andata la corsa per ognuno di loro. Qualcuno sorridente (pochi), la maggior parte con una smorfia di dolore sulle labbra; alcuni concentrati verso l'obiettivo finale, altri festanti e felici di esserci stati; tanti zoppicanti con le mani sulle cosce, moltissimi intenti a tirare l'ultimo chilometro per una posizione in più. E pensare che poche ore prima tutti erano uguali, infreddoliti dentro ai loro giubbotti, un po' assonnati, in coda verso il deposito borse. Ma una maratona fa la differenza. La stessa che fa di un top-runner un vero campione. Come Valeria Straneo, che ha corso in cinque ore e mezza l'intera maratona insieme ai MaratonAbili. Tante piccole sfaccettature che trasformano una semplice corsa in una festa.

E Chiara? Chiara è rimasta quel puntino viola con una folta-riccia-chioma che in piedi sulle transenne ho visto arrivare da lontano nell'ultimo chilometro. Una donna (ventinovesima assoluta) in mezzo agli uomini. Difficile non riconoscerla nella sua andatura ritmata. Braccia alte, passo veloce, bocca aperta. Contavamo i minuti, poi i secondi. Sguardo fisso in avanti, concentrata sul ritmo. Non mi ha visto nemmeno quando mi sono sbracciato a pochi metri, solo un piccolo cenno nel momento in cui ha riconosciuto le urla di incitamento. Finalmente è stata la sua maratona e se l'è conquistata metro dopo metro a partire dagli allenamenti di questa estate. Le 3h 12' 07" sono state solo il meritato coronamento delle fatiche al caldo, dei lunghi lungo l'Adda, delle (sue) odiate ripetute, degli allenamenti fatti insieme. Solo poco più di un minuto di differenza tra prima e seconda metà di gara, una corsa praticamente perfetta. Come quell'arrivo in mezzo al pubblico di Piazza Santa Croce sfilando sul tappeto-blu nella sua amata divisa viola. Il modo migliore per festeggiare il compleanno.