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Lunghissimo alla Maratonina della Vittoria Alata (Vittorio Veneto)

Se stavo cercando risposte dall'ultimo lungo (anzi lunghissimo) prima della Maratona di Milano, forse ho sbagliato qualcosa. Più che conferme i 36 km di domenica mi hanno lasciato dubbi e incertezze. Perplessità. Nate non tanto dalla conduzione dell'allenamento, ma piuttosto dalle tante variabili che sono ancora rimaste in gioco. Quello che conta ora è solo fare la scelta giusta. L'incastro perfetto per lo scacco matto.

Sicuramente da adesso in poi sarà discesa. Con qualche picco di qualità per tenere le gambe in movimento. L'importante sarà scaricare il lavoro fin qui fatto e non cadere nei piccoli tranelli che possono andare a incidere negativamente sulla gara. La mattinata di Vittorio Veneto era anche iniziata nel migliore dei modi. Studiata alla perfezione. Quando ho visto che il prof. Massini mi aveva messo in programma il lunghissimo con gli ultimi venti chilometri a velocità maratona (a quattro minuti al chilometro) la prima preoccupazione che ho avuto è stata quella di trovare una gara in cui farmi tirare (in realtà la prima-vera domanda era stata "ma sei sicuro che due settimane prima della maratona il lunghissimo vada bene?"). L'ideale sarebbe stato un bel lungo da trenta, con qualche chilometro in più di lento nel riscaldamento, come lo scorso anno a Novellara. Ma la trasferta in terra friualana e le poche gare in programma in zona, mi hanno fatto optare per una fugace trasferta-nella-trasferta in terra veneta. In ogni caso organizzazione perfetta. Pre-gara lungo il percorso della 12 Km non-competitiva e ritorno alla partenza per lo sparo ufficiale della maratonina. L'unica scomodità è stata la sveglia alle 5.30 e l'oretta di viaggio solitario verso Vittorio Veneto.

Quando ho iniziato il mio lunghissimo non c'era quasi ancora nessuno in zona partenza. Mi sono limitato a seguire i cartelli rossi che indicavano il percorso più breve ed a seguire il corso del canale. Qualcuno che si improvvisa organizzatore di maratone dovrebbe imparare come si strutturano e progettano i percorsi. Ad un'ora dal via tutti i cartelli erano già piazzati e ben chiari. Ad ogni incrocio ed attraversamento stradale i volontari degli alpini erano già in posizione, attenti e sorridenti, pur non essendo obbligati a controllare ancora niente. Mi sono ritrovato per la prima volta (e da solo) a seguire sentieri e stradine nelle campagne attorno a Vittorio Veneto, ma non ho mai avuto un'unica incertezza sulla strada da prendere. Complice anche il passo facile a 4' 30" per i primi dieci chilometri. Mi sono gustato la campagna silenziosa e ancora immobile, il sole che iniziava appena a scaldare le braccia scoperte, i saluti e i sorrisi premurosi dei volontari che mi hanno visto passare, chiedendosi stupiti se fosse già ora di passare all'opera.

Ritornato in zona partenza, avrei dovuto ripetere ancora il percorso più breve da cinque chilometri a velocità un po' più sostenuta (4' 10"), ma avendo i minuti contati ho preferito non allontanarmi troppo dal gonfiabile per non rischiare di perdermi lo sparo. Semplicemente ho seguito le strade del quartiere aumentando piano piano il ritmo. Un po' come se avessi fatto 15 Km di riscaldamento per la mezza. Ed a pochi minuti dal via mi sono infiltrato esattamente dietro ai palloncini del 1h 24'. Sapendo che piano piano la stanchezza sarebbe fuoriuscita, ho preferito affidarmi a qualcun altro per mantenere il ritmo nella parte più difficile. Un po' rischioso, conoscendo la smania di far bene di molti pacers che partono a ritmo troppo alto, ma una buona tattica per cercare di fare meno fatica mentale. Era dalla mia prima maratona sotto le tre ore che non mi accodavo ad un gruppo di pacers ed è stato un po' come rivivere le vecchie preparazioni.

Il problema più grosso però è stato un altro. E soprattutto imprevisto. Il tibiale della gamba destra ha ricominciato a darmi fastidio nonostante il cambio scarpe. Come due settimane fa a Monza, ho iniziato a percepire qualcosa di strano alla gamba, sentendo tirare sia la parte anteriore che posteriore (sul polpaccio). Non un dolore forte, ma un sentore preoccupante, anche in vista dei 21 Km ancora da fare. Motivo per il quale avevo scelto di correre con le Asics MetaRun invece delle Saucony Triumph ISO 2. Ma qualcosa ancora non ha funzionato. Ho cercato di non prestarci troppa attenzione e per i primi chilometri mi sono lasciato guidare ciecamente dai due apripista adattandomi semplicemente al loro ritmo. Come immaginavo un po' troppo veloci, anche considerato il percorso ondulato. Ma sia cardio che sensazioni fisiche sono sempre state buone e ho solo cercato di divincolarmi dalla immancabile confusione del gruppone nei primi chilometri. A sorpresa mi sono visto affiancare anche da Daniele Cesconetto, ultramaratoneta di casa, anche lui in giornata di lungo.

Il percorso è stato abbastanza filante. Strade completamente chiuse al traffico, sporadico pubblico qua e là solo nel passaggio in qualche paese e un continuo sali-scendi tra le colline. Nulla di estremamente impegnativo, ma chilometri che hanno iniziato a pesarmi sulle gambe. E dopo il giro di boa del 10,5 Km (per me quasi ventiseiesimo), l'allenamento è entrato nel pieno del suo regime. Speravo di riuscire a ritardare la fatica fino al trentesimo, ma probabilmente il ritmo iniziale leggermente troppo alto ed il continuo sali-scendi a cui non sono abituato hanno accelerato il mio crollo. Più mentale che fisico. Mi sono accorto di non avere voglia di reagire. Il dolore alla gamba è aumentato e la corsa inevitabilmente è meccanicamente peggiorata. Contemporaneamente anche le fila si sono diradate. Dietro ai due palloncini siamo rimasti in pochi. Ho continuato a mantenere il ritmo impostato concentrandomi sui cartelli chilometrici, iniziando però ad aspettarli con troppa ansia. Brutto segnale. E quando la situazione peggiora così inesorabilmente, se non è la testa a combattere, il crollo diventa poi inevitabile.

In tensione e ormai con più di un fastidio pungente tra polpaccio e tibiale ho retto ancora per soli quattro chilometri ed alla prima vera difficoltà ho mollato. Dopo un tratto in discesa in cui le gambe hanno involontariamente aumentato il ritmo tra quattordicesimo e quindicesimo chilometro (il ventinovesimo e il trentesimo per me) è iniziata la parte finale di gara. Leggera salita e tratti di strade bianche (belle e corribili, ma pur sempre sterrato) che mi hanno fatto desistere dal continuare a mantenere il ritmo. Ho semplicemente detto basta e lasciato andare i pacers con i pochi (cinque o sei) rimasti con loro. Forse segno anche questo che nella parte iniziale il ritmo è stato troppo alto di qualche secondo. E' difficile reagire nel momento di difficoltà in gara, ancora di più è difficile farlo in un allenamento in cui le motivazioni sembrano scemare con l'aumentare di dolori e fatica. Rallentando inevitabilmente i muscoli si sono leggermente raffreddati e contratti e mi sono accorto di non riuscire più ad appoggiare bene con la gamba destra. Dolore soprattutto nel movimento di spinta della caviglia. Non è stato bello vedersi sfilare dalle retrovie, ma meglio farsene una ragione in allenamento che tra due settimane.

La festa dell'arrivo in pista al centro sportivo di Vittorio Veneto è stata una visione. Ho trotterellato, godendomi più lo spettacolo che il crono, lasciando strada a chi ancora stava cercando di tagliare qualche secondo dal proprio cronometro. Sedersi sull'erba umida sotto il sole caldo e il cielo azzurro è stata una liberazione. 1h 26' i ventuno chilometri della mezza, ma un buon 2h 31' 19" nei 36 Km totali di allenamento. Ed era questa la risposta che stavo cercando.

Ora mi rimangono solo da risolvere gli interrogativi. Primo tra tutti quello sulla scarpa da usare nei quarantadue chilometri milanesi. Non per essere più veloce, ma per non avere i problemi al tibiale che mi hanno accompagnato nelle due ultime settimane. E poi capire come riuscire a non ricadere nel declino finale. Che siano i crampi o la testa che molla non conta. Ma certamente non è tutto da buttare via. La scorsa settimana nonostante lo scarico finale ha avuto due appuntamenti pesanti, nel medio di lunedì e nelle ripetute di mercoledì. Un alibi più che giustificato. Rimangono dieci giorni. In cui pensare, testare, immaginare, scaricare. Dieci giorni per provare ad essere migliore.