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Milano City Marathon 2012, my personal best

Sportivamente ed emotivamente parlando è stato sicuramente uno dei giorni più belli della mia vita. Se mai avessi dovuto scrivere un copione per questa domenica non mi sarei allontanato troppo da quanto è successo. Guardando e analizzando tutto a mente fredda anche quello che poteva sembrare negativo non lo è stato, perché sarebbe stato tutto diverso. 

[Aprile 2022] Sono passati dieci anni. Dieci anni da quella migliore prestazione in maratona uscita quasi per caso, in una giornata qualunque. Dieci anni in cui la rincorsa al traguardo è continuata, con la voglia di arrivarci sempre prima, ma senza più riuscirci. Occasioni sfiorate, riprovate e piano piano sfumate. Oggi la mia corsa non è più quella di allora. Ma una piccola porta aperta rimane sempre. Un piccolo lumicino che brilla lontano c’è ancora. Non è adesso il momento di rimettersi in gioco, ma tornerà. La maratona è un viaggio che va solo programmato, atteso e poi vissuto. Intensamente. Guardando avanti i chilometri diventare sempre di meno.

È stato un susseguirsi di emozioni, di sorprese, di adrenalina, di gioia, di soddisfazioni quasi senza fine. Una maratona nella maratona. E anche se pensi di essere ben allenato, quando hai le formiche nello stomaco non puoi farci niente. Oggi come non mai calza a pennello il pezzo che avevo scritto mesi fa, Lacrime e sudore... sono lacrime che bagnano la pelle come pioggia in primavera - un diluvio autunnale che raffredda anche il cuore... anche se forse andrebbe aggiunta una nuova strofa. Non so come sarebbe finita se non avessi saputo che c'era chi mi stava seguendo, aspettando, monitorando. Perché questa volta è stata davvero dura, diversa, strana... praticamente perfetta. Per come è uscita. Per come è stata. Per come ormai è dentro al mio cuore.
Per fortuna giocavo in casa, a Milano. Sveglia alle 5 per raggiungere la partenza a Rho per tempo. Praticamente un viaggio da capolinea-a-capolinea. Avevo già studiato bene il percorso di gara negli ultimi giorni, ma ho approfittato del tempo da ingannare in metro per un ultimo briefing dove memorizzare i passaggi e gli intermedi, dove fissare i chilometri, dove prendere i riferimenti. Il percorso è cambiato solo leggermente rispetto a due anni fa e secondo me migliorato, diventando ancora più scorrevole e più piacevole.
Ero fiducioso che il tempo diventasse clemente e la pioggia prevista diventasse solo una pesante umidità, come quella della vigilia, invece appena sbarcati in zona fiera la sorpresa non c'è stata. Cielo grigio su Milano e acqua a catinelle. Come si dice, Maratona bagnata... maratona bagnata! Mi sono preso un buon margine per permettermi di non fare tutto di corsa, per cui al coperto nello spogliatoio-parcheggio mi sono preparato. Nervoso. Tremante. Anche perché non sapevo se il mio obiettivo delle 2h 55’ fosse realmente abbordabile.

Quando sono entrato in gabbia mancava poco meno di mezz'ora alla partenza. Ma visto che tanto ormai sarei dovuto rimanere sotto la pioggia, meglio prenderla guadagnando qualche posizione in partenza. In prima, esattamente dietro ai top-runner. Ma quando sono entrato non c’era ancora praticamente nessuno. Non mi era mai capitato di partire così davanti in una gara così importante e un po' mi sono ringalluzzito. Mi sono piazzato esattamente in mezzo, in prima fila, coperto dal sacco della spazzatura in cellophane per evitare di bagnare anche l'evitabile. Che ridere.
La processione di runner verso la griglia di partenza è stata impressionante: più di cinquemila per la maratona e più di duemila per la prima parte della staffetta. Poi fotografi, cameraman, vigili, giornalisti, qualche vip. La gabbia si è riempita piano piano. I top-runner sono comparsi solo a pochi minuti prima dell'inizio e allora le macchine fotografiche e le telecamere hanno iniziato a riprendere noi, quelli che corrono solo per piacere, quelli che fanno i sacrifici per esserci sempre, quelli che si sentono orgogliosi di essere lì e di poterlo raccontare. Quelli che corrono solo (per e) contro sé stessi.

Pronti. Ai vostri posti. Via!

Il cellophane ha continuato a tenere caldo fortunatamente. La pioggia è proseguita costante e... bagnata. Il gruppo di cheerleader presenti ha occupato un po' la scena con qualche esibizione. Un minuto di silenzio prima del via. Quasi assordante. Come se tutti avessero smesso di respirare assieme, come se tutti si fossero uniti in un unico grande abbraccio. Silenzio e niente altro. Anche la pioggia ha smesso di fare rumore. Poi lo sparo. Praticamente non ho avuto gap rispetto al tempo di gara, non mi era mai successo. Lungo la strada tanta gente appena dopo il via. E mi sono lasciato trascinare dal momento, dalla posizione, dalla velocità di chi aveva già preso decine di metri, come risucchiato. Non ero ancora sudato che ho visto e sentito Iacopo salutarmi, gridare e incitarmi immortalando il momento. E ho sorriso, perché nonostante tutto correre deve sempre essere solo un piacere.
Mi sono reso subito conto di essere fin troppo veloce, ma fino al primo chilometro non avevo capito quanto. Quando ho guardato il cronometro e ho visto 3' 40" sono rimasto allibito. Ho rallentato. Subito. Lasciando che quelli dietro mi passassero, ma ritrovandomi poi tutte le volte accodato per farmi trascinare. I primi cinque chilometri sono passati così, non andando mai sopra 3' 50". Non me ne sono preoccupato troppo, nonostante fossi consapevole che strafare all'inizio avrebbe voluto dire pagarla più avanti, quando non si dovrebbe e il tempo per recuperare poi non c'è più.
Il tratto fuori Milano è finito praticamente subito, meno di venti minuti. Passando al fianco del Parco di Trenno è iniziata la parte di percorso che conoscevo meglio. Zona San Siro, zona Deejay Ten. Mi sono subito accorto che il mio ritmo non era cambiato di molto, sempre sotto i 4’ al chilometro. Ma mi sono sempre sentito bene, con le gambe che giravano a meraviglia e il fiato perfetto. La pioggia non ha mai smesso, tutto inzuppato ma con i piedi ancora asciutti. Per poco. Avvicinandoci al decimo chilometro sapevo che saremmo stati anche vicini al primo cambio staffetta. Finalmente un po' di pubblico. Ma la zona ippodromo e stadio si è presentata praticamente come un deserto bagnato. Solo il rumore dei passi e la pioggia cadente. Mi sono guardato attorno e accorgendomi di quanto le fila si stessero già allungando. In lunghi tratti ho corso praticamente solo, superando o venendo superato solo di tanto in tanto.


Si ringraziano Roberto Mandelli e Arturo Barbieri per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

Ho passato i 10 Km in 39'. Allibito. Avvicinandoci a Piazzale Lotto la voce dello speaker, grida e applausi si sono fatti sentire. Automaticamente il passo è aumentato. E mi sono sentito chiamare da qualcuno tra il pubblico che non ho riconosciuto. Poi è iniziato uno dei tratti che più temevo, quello tra l'inizio e il passaggio alla mezza. Viali lunghi, poca gente per strada, la stanchezza che è cominciata ad uscire. Verso il diciassettesimo e il diciottesimo chilometro un piccolo rallentamento. Istintivamente mi sono accodato ad un piccolo gruppo di quattro atleti che mi stava superando e ho lasciato che facessero loro per un po' il passo. Sempre un po' troppo veloce, ma almeno la testa ha avuto un attimo per riposare. Accorgendomi che ormai tutta la tattica che avevo preparato era da buttare. Solitamente ho un passo costante, o per lo meno tendo ad essere un po' più lento all'inizio per aumentare nel finale. Esattamente il contrario di quello che stavo facendo. Ma ho deciso di lasciare che fossero le sensazioni questa volta a guidarmi. Non senza timore.
Entrando in Corso Sempione, dove i chilometri si affiancavano divisi da quasi una mezza maratona, la strada è stata divisa in due dalle transenne. Prima si correva a sinistra, per entrare nel centro di Milano, poi a destra per lanciarsi verso l'arrivo. Ma mancava ancora metà gara. Al ventesimo chilometro ho avuto il primo problema. Il gel che avevo appuntato in vita mi si è incastrato, non riuscendo a toglierlo dai pantaloncini. Ci ho impiegato quasi un chilometro, perdendo quasi il ristoro, il passo, il ritmo e accorgendomi di avere il fiatone. Intanto la pioggia è aumentata e ho iniziato ad avere freddo. È bastato distrarsi un attimo. Ma fortunatamente mi sono ripreso prontamente, riaccodandomi ai miei momentanei compagni. Arena. Poi verso Porta Venezia. Pensavo di trovare molta più gente essendo vicini all'arrivo, ma era ancora troppo presto. Intanto i tratti di lastroni e pavé hanno martoriato un po' le gambe. Un po' di saliscendi. Leggero, ma che ha cambiato il ritmo. Ma guardando il passaggio alla mezza sono rimasto allibito: 1h 23', ancora sotto i 4' al chilometro. Ho cominciato un po' a sognare, ma anche a rendermi conto che senza rallentare un po’ sarebbe diventato tutto davvero troppo duro. Impossibile.

Verso il centro

Sui Bastioni la gente è aumentata, complice il secondo cambio staffetta. Ma sono rimasto solo. Il tratto verso Piazza San Babila era da fare nei due sensi, prima in andata e poi in ritorno. Entrando verso il centro sapevo che dopo un chilometro avrei trovato chi mi stava aspettando. Infatti, passato il cartello del ventiseiesimo, alzando lo sguardo ho visto e sentito Marco salutarmi. Mettendo meglio a fuoco mi è quasi venuto un colpo quando ho riconosciuto anche Eva e Laura. Sbalordito. Una scarica di adrenalina che mi ha fatto aumentare nuovamente il passo. Me ne sono reso conto subito. Girando attorno a Piazza Duomo neanche mi sono accorto di esserci, con gli occhi che si sono riempiti di lacrime e la pioggia a mascherarle, fortunatamente. Ho cercato di rimettermi in sesto, ma ancora in lontananza ho sentito gridare. Iacopo, dall'altra parte della piazza. Sulle labbra mi si è subito disegnato l'ennesimo sorriso. Ma appena l’effetto dell'adrenalina si è smorzato ho sento di colpo la fatica e sono dovuto ritornare in carreggiata. Sapevo che per altri dieci chilometri non ci sarebbe stato più nessuno ad aspettarmi.
Mi sono concentrato sul passo, il respiro, rivivendo i momenti appena passati per non pensare alla fatica. Con il passo assestato sui 4’ al chilometro ho cominciato seriamente a pensare che forse sarebbe stato meglio rifiatare un attimo prima dei trenta. Comunque ero ancora più veloce di quasi dieci secondi rispetto al ritmo che avrei dovuto tenere. La pioggia non è mai diminuita, anzi. I piedi hanno iniziato a inzupparsi, complici anche le pozzanghere a bordo strada e nei lunghi tratti di lastroni.
Il pezzo di circonvallazione interna fino al terzo cambio staffetta è stato lungo e dritto. Pesante. In leggera costante salita. Sono passato al 30 Km in 1h 59', esattamente quello che avrei voluto. Ma mi ha spaventato. Perchè non ero davvero più sicuro di come avrei poi reagito più avanti. Ma ho tenuto. Ho tenuto duro più che ho potuto. Poco prima del terzo cambio staffetta ho iniziato a sentire tirare i flessori delle cosce. Principio di crampi. Mi era capitato anche in allenamento. Fatica, pioggia e freddo hanno iniziato a dare i primi segnali. I runner in attesa del cambio staffetta non hanno smesso un attimo di incitarci. Di incitarmi. Non ho nemmeno quasi fatto caso che fosse la domenica ecologia, senza traffico, senza clacson. Chissà se qualcuno ne ha sentito la mancanza.

Crampi

Poco prima di ritrovare il mio pubblico in zona Buonarroti i muscoli hanno cominciato a ribellarsi. Bene di testa, bene di fiato, buone le sensazioni. Ma gambe e piedi un disastro. Scarpe inzuppate, calze raggrinzite sotto le dita, fradice. Non mi sono reso conto di quanto fossi bagnato, se non riguardando le fotografie post-gara. Ma le gambe... i crampi sono iniziati forti. Ho sentito le fitte diventare morse in più punti, dal polpaccio alla coscia, su entrambe le gambe. Ad ogni passo ho avuto paura di non riuscire più a proseguire, di bloccarmi. Ho diminuito un po’ l'andatura per provare a farle riprendere, ma non è cambiato molto. Ma il pensiero di rivedere gli amici mi ha fatto continuare. Li ho trovati esattamente dove sapevo che sarebbero stati. Mi hanno chiamato, incitandomi, ma questa volta non più sorridente come prima.
Sono riuscito forse a fare ancora cinquecento metri prima di dovermi fermare. Non riuscivo più a correre. La gamba sinistra completamente rigida. Passandomi, un altro runner mi ha urlato di non fermarmi, ma non mi era rimasta scelta. Ho provato con un po' di stretching per qualche secondo. Un po' di sollievo. Poco più avanti un vigile che mi stava osservando. Mi sono subito accorto che eravamo soli. Le fila erano diventate veramente molto lunghe. Ho provato a ripartire. Sapevo che una volta tornati in Corso Sempione sarebbe finita. Ho subito ripreso i pochi che mi avevano superato mentre ero fermo e mi sono reso conto che comunque il passo era ancora buono. Ho cercato di avere una corsa più sciolta, ma ogni volta che ho provato ad alzare e piegare le gambe le morse sui muscoli sono ritornate. Forti. Decise. Istantanee. E dopo neanche un chilometro mi sono dovuto fermare ancora. Ho tirato entrambe le gambe, sapendo che non avrei potuto continuare così fino all'arrivo.

Avevo già smesso di controllare il cronometro, ormai inutile. Ma spendo comunque di avere un buon margine. E sono ripartito a sensazione, cercando di fare attenzione ai segnali mandati dai muscoli. E sono andato. Andato. Senza più fermarmi questa volta. Qualcuno ha continuato a superarmi e mi sono reso conto che l'idea di provare ad arrivare tra i primi cento stava diventando solo un sogno. Ma l'importante ormai era solo arrivare. La cosa che più mi ha fatto arrabbiare è stata sentirmi bene sia di testa che di fiato. Nessun segno di crisi, nessun muro. Ma probabilmente le gambe hanno pagato pegno per l'andatura troppo sostenuta ad inizio gara. Pioggia e freddo hanno fatto il resto. E il freddo ho iniziato a sentirlo. Diminuendo il passo anche la temperatura corporea è scesa, mentre la pioggia non ha mai smesso.
Mi sono ritrovato in Corso Sempione, questa volta nella corsia di destra. Dall'altra parte delle transenne una fiumana di gente era ancora venti chilometri più indietro. Lì mi sono reso conto di quando stessi andando forte, non ci avevo ancora pensato. E ho ripreso fiducia. Ho guardato dritto, davanti, l'Arco della Pace in mezzo ai palazzi. E ho corso. Cercando di trattenere i crampi e aumentando il passo. Ho passato i cartelli del trentonovesimo e del quarantesimo. Avrei voluto guardare il cronometro, ma non prima dell'ultimo chilometro. Un po' per scaramanzia, un po' per non farmi condizionare. Al quarantesimo una pozzanghera enorme non ci ha permesso di fare altro che inzupparci i piedi fino alla caviglia. Per fortuna ormai eravamo arrivati. Poche curve e ho trovato ancora Iacopo davanti che mi ha incitato correndo insieme a me per qualche centinaio di metri. Non ero più solo.

Da solo al traguardo 

Al 41 Km ho guardato il cronometro rimanendo senza fiato, 2h 46'. Quasi non ci credevo. Non sapevo più a quando stessi andando, ma ormai il personale lo avrei annientato anche se avessi dovuto strisciare. Contro ogni logica e previsione. Avrei voluto correre gli utlimi mille metri dando tutto, ma le gambe non me lo hanno permesso. Mi sono infilato tra le transenne sovrastate dalla folla presente all'arrivo. I cartelli hanno scandito i metri che mancavano all'arrivo ogni cinquanta. Ho rivisto Marco, Laura ed Eva. E ho pensato a tutti quelli che mi stavano seguendo da casa. Li ho sentiti. Li ho avuti al fianco per mesi ed erano ancora tutti lì con me in quel momento.

Ultima curva e ho visto spuntare l'orologio sopra la linea di arrivo. I secondi sono volati inesorabili, ma volevo fermare i minuti prima che scattassero i cinquantadue. Ho fatto un patto con le gambe promettendo che mi sarei fermato appena passata la linea della fine. Ho sentito gli incitamenti del pubblico. Ero solo, non c'erano altri. Scoppiando di emozioni sono passato sotto il traguardo con le mani in faccia per nascondere le lacrime. E mi sono subito fermato, piegandomi sulle punte dei piedi per tirare le gambe e non cadere a terra. Mi sono guardato attorno e non ci potevo ancora credere. Con il cuore che batteva a mille. Con il fiatone, ma non per la corsa. Quella ormai era finita. Ho guardato il cronometro che dopo i 42,195 Km segnava 2h 51' 53” (100° assoluto, 60° tra gli italiani). Silenzio. Ho camminato slalomando tra fotografi, infermieri e volontari. Ho ritirato la mia medaglia e me la sono infilata al collo, subito. Quanto l'ho sudata. Ancora pioggia, ma era come se ci fosse il sole, nonostante il freddo. Iacopo, Marco, Laura ed Eva sono arrivati di corsa. Abbiamo parlato divisi da una rete di ferro. Li avrei voluti abbracciare. Con gli occhi ancora pieni di lacrime. Anche loro non ci potevano credere.

Adesso che è finita, che la mente è tornata lucida, mi rendo conto che è stata davvero una pazzia. Chi corre sa cosa vuol dire sbagliare anche solo un piccolo dettaglio in gara, abbigliamento, ritmo, anche solo un un gel. E forse il finale è il risultato dell'aver osato troppo. Però ho avuto quell'arma in più che mi ha permesso di non mollare, nonostante tutto. E li ringrazio. Vi ringrazio. Chi era presente, chi era davanti alla tv, chi era davanti al pc, chi sta anche solo leggendo ora queste pagine. Perchè davvero questa volta non mi sono sentito solo. È iniziato tutto con una giornata di pioggia. E piove ancora. Ma maratona bagnata... maratona bagnata!