Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti, per personalizzare i contenuti e gli annunci, fornire le funzioni dei social-media e analizzare il traffico generato. Continuando a navigare in questo sito web acconsenti all'uso dei cookies.

Fisherman's Friend Strongman Run 2011

Siamo partiti come Runners, siamo tornati da Strongman. Sono i muscoli che me lo ricordano ad ogni movimento. E' stata dura, è stata folle, è stata grande, è stata divertente. Soprattutto è stata nostra. Ci siamo impersonificati nella corsa appena atterrati in terra germanica. Ed averla fatta da soli, senza un gruppo così, non sarebbe stata la stessa cosa. Ci siamo impossessati dello spirito della corsa e lo abbiamo fatto nostro, trasformando ventuno sconosciuti in un gruppo talmente unito, talmente affiatato, talmente italiano che sembravamo amici da una vita.

E' stato il divertimento, al di là del risultato individuale, che ci ha spinto sopra ogni balla di fieno, dentro l'acqua gelida, nel fango. Siamo arrivati tutti venticinquesimi insieme ad Andrea, perchè lo abbiamo sospinto mentre si preparava alla corsa con le sue birre e mentre volava sopra ad ogni ostacolo il giorno della gara. Siamo arrivati tutti settantaseiesimi con Michele mentre cantavamo l'inno d'Italia uniti in mezzo ad una moltitudine di tedeschi e mentre si intrufolava, furtivo, tra la prime file alla partenza. Siamo stati tutti sulle spalle di Enrico insieme al suo coccodrillo-gonfiabile mentre discendeva dalle rapide dello scivolo sulla sua groppa. Mi sono sentito sospingere da quaranta mani mentre arrancavo sfatto per superare le balle di fieno alte tre metri. Siamo partiti, siamo arrivati, siamo tornati. Tutti con un'esperienza sportiva da non dimenticare, tutti con un sorriso lungo un week-end, tutti con nuovi amici in più, tutti con una medaglia al collo. La nostra.

Venerdì. Vago per l'aereoporto di Orio al Serio alla ricerca dei miei compagni di cui non so nulla. Conosco solo qualche viso visto in foto. Ho scambiato con pochissimi di loro solo qualche riga virtuale nell'attesa del viaggio. Nulla più. Cerco qualche indizio: felpe, cartelli. Solo appena prima di salire sul volo che ci porterà in terra germanica finalmente li vedo arrivare in gruppo. Felpe nere marcate Strongman, trolley alla mano. Siamo quasi tutti sconosciuti uniti solo da un week-end che diventerà, a nostra insaputa, memorabile. Sull'aereo si cominciano a scambiare le prime parole, a conoscersi poco a poco. Arriviamo da tutta italia: molti da Milano e provincia, Barletta, Treviso, Padova, Savona, Parma... Ci impieghiamo meno ad arrivare a Dusseldorf dall'Italia che poi a trasferirci a Nurburg. In aereoporto ci dividiamo subito. Team-A e Team-B. I primi suddivisi con quattro auto con autista al seguito. Noi, i secondi con un bus da sessanta posti tutto per noi (dieci). Come iniziare bene. Le parole si sprecano lungo il tragitto. Racconti, aneddoti, domande e subito tante tante risate. Sembriamo una scolaresca in gita. Ci teniamo in contatto con il primo gruppo tramite sms e scopriamo da subito che in Germania le strade sono troppe per riuscre a stare tutti insieme. Praticamente arriviamo a destinazione con più di un'ora di distacco tra primi e ultimi. Il paesaggio, anche se di notte, e suggestivo. Distese di bosco illuminate da una pallida e fredda luna. Nessuno in giro. Piccoli paesi con tetti a punta ornati da legno e piccoli giardini ordinati. Il nostro autista sfreccia tra le vie dei centri cittadini manco fosse Schumacher. Infatti, quasi a destinazione ci infiliamo in un viottolo dal quale rischiamo prima di non uscire più e poi di uscire abbattendo una recinzione. Ma sono tedeschi, lasciamoli fare. Il paese che ospita il nostro albergo non è diverso da tutti gli altri. Il nulla. Il silenzio. Anche alla reception. Prendiamo le chiavi delle camere lasciateci sul bancone con quattro righe in un italiano-maccheronico di spiegazione per raggiungere le nostre stanze sparse lungo la via.

Sabato. Sveglio Roberto, neo compagno di stanza, quando ormai la luce ha già inondato la camera. La corsa è l'indomani, ma il viaggio ha già lasciato i segni, soprattutto sulla mia schiena, a pezzi da qualche giorno. Raggiungiamo gli altri a colazione. Si respira già aria di gruppo, nonostante siamo insieme da poche ore. E' strano da raccontare, da spiegare. Con un breve giro in paese scopriamo di essere a poche centinaia di metri dal vecchio circuito del Nurburgring, dove una volta si correvano gare di F1 in mezzo alla foresta germanica. Sentiamo sfrecciare le auto truccate e dipinte quasi come carri carnevaleschi dei tedeschi che, il sabato e la domenica, si riversano lungo le curve della pista e danno sfogo alla loro passione. Poi ci incamminiamo per raggiungere il Team-A che alloggia all'interno del villaggio. Andiamo a ritirare i nostri pettorali all'interno del centro congressi. Ordine, pulizia. Tutto luccica, nulla fuori posto. I nostri compagni arrivano infelpati e ingacchettati da Strongman mentre noi scopriamo ben presto per quale motivo il nostro team abbia come lettera la "B". Nasce subito la nostra goliardica competizione interna tra Team-A e Team-B. Nel nostro pacco gara il nulla più completo, se non il pettorale. Beh è quello che ci serve per correre dopotutto. Qualcuno prova a riscaldarsi per il giorno dopo sul percorso sospeso dentro al centro mentre continuiamo a conoscerci. Siamo tanti e già ricordo a fatica i nomi di tutti, nomi che richiederò più e più volte. Finalmente con la compiacenza di tutti troviamo un posto dove mangiare. E qui è il Team-B a farsi riconoscere ed a dimostrare quanto vale: salsiccia di un metro a testa e boccale di birra alla mano. Sbraniamo tutto, ovviamente dopo le fotografie di rito. Il tempo è bello: cielo terso, sole caldo, nuvole che passano come nei cartoni animati di Heidi, aria frizzante. Ben augurante per il giorno dopo. Per digerire decidiamo di salire fino al castello di Nurburg. Vista meravigliosa su tutta la regione circostante. Piccoli villaggi, campagne e boschetti che si alternano tra le colline e piccoli stralci della vecchia pista di F1. Mentre il sole cala anche la temperatura scende. La stanchezza però aumenta, con la preoccupazione di ognuno per gli ostacoli che più si temono. Per la maggior parte sono quelli d'acqua, chi per la poca pratica nel nuoto, chi per la temperatura. Ma il mio maggior timore è sempre la schiena che dopo quasi ventiquattro ore di maltrattamenti comincia a far sentire i suoi lamenti. Verso l'ora di cena, capitanati da Pino il nostro leader, ci ritroviamo al villaggio dell'autodromo e dopo altre foto di gruppo (ma quante ne abbiamo fatte!?) proviamo ad infiltrarci tutti, da buoni italiani, al VIP Party destinato al Team-A. Chiaramente veniamo rimbalzati. E mentre loro si sollazzano con pasta e gnocchi noi ci buttiamo su salsiccia, wurstel e birra. D'altronde bisogna impersonificarsi nel clima della Strongman e non è l'occasione per fare troppo i fiscali. Verso le 22.00, quando le porte si aprono anche per i comuni mortali, entriamo alla festa in discoteca ma ne fuoriusciamo quasi subito per un'ultima bevuta in compagnia prima di coricarci. La giornata non è stata per niente leggera e il Team-B deve rendere cara la pelle il giorno dopo.

Domenica. Uno degli aspetti positivi della Strongman è senza dubbio l'orario dello start, alle 12.00. Cosa che ci permette di riposare (per chi non ha in camera delle seghe dormienti nel letto al suo fianco) e svegliarci ad un orario accettabile. La tensione pre-gara non è la solita, come non è la solita la corsa che ci aspetta. E' più preoccupazione dovuta all'incognita ostacoli. Il fatto negativo è però il tempo, dove il cielo azzurro del giorno prima ha lasciato spazio ad un enorme cappa grigia di spesse e fredde nuvole. Quasi sarebbe meglio che piovesse, anche per rendere la corsa ancora più interessante. Riuniamo la squadra al gran completo nella hall dell'albergo dei nostri compagni a poche centinaia di metri dalla partenza, poi dopo un breve briefing ci spostiamo verso la VIP area riservata ai nostri avversari VIP del Team-A. Siamo tutti carichi. All'interno dello spazio ritrovo-deposito-ristoro incrociamo tantissimi concorrenti travestiti da improbabili personaggi: sposi, marines, capitan america, wonderwoman, vikinghi, ranocchi, uomini-donna e donne-uomini, simil-borat, mucche, leopardi, bagnini di bay-watch... tante squadre hanno divise comuni, altre costumi improponibili. Noi... noi siamo italiani ed è lo spirito che ci unisce. Michele ci dipinge sulle guance la bandiera italiana e poi sfoggia un paio di casse acustiche che attacca al suo ipod. In cerchio, uniti, mano sul cuore cantiamo tutti insieme l'inno italiano mentre anche la tv germanica ci riprende. Ne avremmo da insegnare... Ci intrufoliamo alla gabbia di partenza passando per l'area VIP, anche se non potremmo. Qui il gruppo si disunisce non appena qualcuno inizia a fare il riscaldamento. Davanti a noi ci sono già sicuramente almeno mille persone che ci dividono dal nastro di partenza. Mille persone vogliono dire minuti preziosi e soprattutto coda agli ostacoli. Ma l' "occasione fa l'uomo ladro". O almeno italiano. Io, Davide, Daniele, Roberto, Michele e Mariella cogliamo al volo l'occasione per portarci più avanti quando l'auto che deve riprendere i top-runners si fa strada dalle retrovie per portarsi alla partenza. Ci accodiamo alla macchina facendo finta di spingerla e passando attraverso le ali di corridori che si aprono al suo passaggio. Chiaramente con fare goliardico e con il tricolore che splende sulle nostre guance sorridenti. In men che non si dica ci troviamo immersi in una bolgia di corpi, ma a non più di due-tre metri dalla partenza. Da non crederci. Nell'attesa del via gli speaker di giornata incitano i 10940 partenti cercando di caricarli. Musica improbabile e slogan (per noi) indecifrabili. Per lo meno in mezzo alla mandria umana si sta più che bene, climaticamente parlando. L'emozione sale fino ad esplodere nel momento in cui il semaforo verde del circuito di F1 si accende. Via. Il primo chilometro e mezzo è tranquillo e veloce lungo la chicane fino al primo ostacolo. Siamo in quattro, io, Davide, Daniele e Roberto. Lo passiamo veloce scavalcando agilmente le balle di fieno e le gomme d'auto posizionate di traverso lungo la pista. Da qui in poi capiamo che il problema vero di questa corsa non saranno gli ostacoli ma il percorso stesso. Il tracciato si estende per 10,5 Km abbondanti (tra i 21 e 22 Km totali) all'interno del parco del Nurburgring tra continui sali-scendi con pendenze improbabili, interamente su sterrato dissestato. Veramente duro. E nei pochi tratti di pista asfaltata il passaggio è quasi sempre deviato sui ciottoli destinati alle vie di fuga per le auto da corsa. Un massacro per le gambe. Voltando a guardare la serprentina di gente che sembra rincorrersi lungo le sponda della collina la vista è fenomenale. Ma è il clima la cosa più bella. C'è competizione, ma è la voglia di esserci, di vivere quel momento insieme e non da soli a dare il vero gusto della gara. Rimaniamo insieme tutti e quattro, saliamo e ridiscendiamo anche il secondo ostacolo formato da una scalata e una ridiscesa da una collina completamente sconnessa. Tutto sommato la temperatura non è male, ma rimaniamo asciutti per poco visto che al terzo blocco ci aspetta lo scivolo d'acqua. In realtà si riesce benissimo, stando un po' attenti, a passarlo rimanendo in piedi, ma è inevitabile il tuffo nel lungo fosso finale prima di riprende la sponda asciutta. In tanti provano a saltare per non bagnarsi ma tutti cadono in acqua inzuppandosi più di quanto avrebbero fatto non provandoci. A fatica e arrampicandoci usciamo dalla gelida acqua marrone che ci ha bagnato fino alla vita. Inevitabile l'appesantimento ma almeno ci siamo tolti tutti gli interrogativi riguardanti l'acqua. Con i guanti fradici arriviamo ad uno degli ostacoli più temuti, il passaggio sospeso sul traliccio. Pensavo ad una specie di scala messa orizzontale e invece ci ritroviamo a doversi aggrappare ad una serie di traversini obliqui. La schiena stride, ma studiando il movimento di quelli che mi precedono riesco miracolosamente a passarlo indenne. Il percorso diventa impegnativo mentre rallentiamo il passo, un po' per i passaggi impegnativi tra ripide salite, discese, piccoli cumoli di sassi e terra, un po' per rimanere tutti insieme. Fuoriuscendo dal boschetto ci troviamo di nuovo di fronte ad ostacoli con acqua. Ci buttiamo nel primo cercando di non cascare per il fondo sconnesso ed immergerci completamente nell'acqua sempre più marrone ad ogni nuovo ingresso ed in quasi scioltezza passiamo sotto i tronchi d'albero messi per orizzontale. Il bordo coperto da un telo plastico, per di più infangato, rende difficoltosa l'uscita come l'entrata. Ci si aiuta come si può mentre la gente assemblata attorno agli ostacoli urla e incita tutti con cartelli dalle scritte indecifrabili. Il passaggio nella seconda vasca, sempre piena di acqua e fango, sospesi sopra ad una rete è più facile di quanto credessi. Il peso complessivo delle persone che ci passano contemporaneamente tende la struttura randendola stabile e rigida per un agile passaggio. Ogni tanto incrociamo qualche cartello che indica la distanza percorsa, ma senza orologio non ho riferimenti cronometrici, anche perchè sinceramente non ci interessano molto. A circa a metà percorso si risale la collina sulla salita forse più faticosa di tutte per la sua lunghezza e troviamo il primo vero ostacolo dove l'aiutarsi è d'obbligo. Una sequenza di tre barriere di balle di fieno impilate per un'altezza complessiva di circa tre metri. Superarle da soli non è per nulla semplice non avendo molti appigli e ci si aiuta come si può. Chi dall'alto tira per le braccia chi si trova sotto, chi dal sotto spinge sollevando chi ha davanti. Solo così si può andare avanti. Proprio qui, dalle retrovie ci raggiunge Simone, rimasto da solo alla partenza. Me lo ritrovo alle spalle e, dall'alto del suo metro e novanta e grazie alla sua stazza, mi aiuta in tutti gli ostacoli a passare oltre. Riprendiamo la nostra corsa mentre Davide, Daniele e Roberto rimangono un po' più indietro. Scollinando e arrivando di nuovo al circuito aumentiamo un po' il passo e rimaniamo soli in coppia con qualche minuto di vantaggio sugli altri. Ci ritroviamo di fronte montagne di ciottoli che ad ogni passo crollano sotto i piedi. Le gambe cominciano a sentire il peso dei chilometri percorsi anche se non abbiamo dato il tutto per tutto fino ad ora. Ma in vista anche del secondo giro è meglio così. Dopo il secondo ristoro dove bevo solo qualche goccio d'acqua per non appesantire inutilmente lo stomaco arriviamo all'ostacolo che più temevo, quello con il livello d'acqua più profonda. In realtà, e fortunatamente, si riesce a toccare il fondo, seppur sconnesso come in tutte le altre buche anche se l'acqua arriva fin sopra la vita. Ma la temperatura è glaciale. A dogni passo sento come degli aghi andare a pungere le ginocchia. Passiamo il più velocemente possibile per arrivare a scalare la collinetta artificiale a fine vasca coperta da una rete che serve a non fare scivolare sul fango scarpe e guanti ormai completamente inzuppati. Tutto sommato uscendo dall'acqua il freddo che temevo di soffrire non è così terrificante ed anzi trovo sollievo ai muscoli delle gambe che vengono tonificati. Ormai mancano poco più di due chilometri alla fine del primo giro ed arriviamo agli ostacoli forse più divertenti, posizionati a ridosso delle tribune del circuito, uno di fila all'altro. La maggior parte degli spettatori sono assiepati qui. La vasca piena di fango è uno spasso. Appena entrati piedi e gambe affondano in una melma marroncina che entra in qualsiasi tessuto. Provando a sfilare i piedi un effetto ventosa cerca di trattenere le scarpe in fondo alla vasca. C'è chi prova ad entrare a tutta velocità, ma la maggior parte finita la spinta e perse le forze finisce distesa in mezzo alla fanghiglia. Qualcuno perde le scarpe che previdentemente invece io mi sono allacciato più strette del solito. Si scoppia a ridere, coinvolti dal clima festoso del pubblico che sembra divertirsi. Lo sforzo non è per niente leggero, ma lo si scoprirà solo più avanti. Usciti dalla vasca c'è subito lo stacolo più alto di tutti, formato da una piramide di balle di fieno di cinque metri. Salire sulle prime è abbastanza agevole, ma per superare l'ultima ci si aiuta ancora gli uni gli altri. In cima quasi mi spavento, quando vengo preso per il braccio da un tedesco che mi urla in faccia frasi incomprensibili di carica e con uno strattone mi innalza sulla sommità. Se avesse usato ancora po' più di forza probabilmente adesso sarei monco. Sempre insieme a Simone arriviamo alla vasca dei copertoni che superiamo abbastanza agilmente saltando da una gomma all'altra. All'ultima curva, sempre e immancabilmente sulla via di fuga ciottolosa, è disposto l'ultimo ostacolo, la griglia di una decina di metri alta settanta centimetri da terra sotto cui strisciare. Gattonare, se non si ha una soglia del dolore abbastanza alta, è quasi impossibile perchè le ginocchia bagnate e infangate vengono scorticate dai ciottoli. Allora mantenendosi su braccia e piedi in perenne flessione la si attraversa tutta non senza fatica. Una volta fuori, ancora un centinaio di metri sui ciottoli e poi finalmente il rettilineo di arrivo. Toccare l'asfalto della pista è quasi come arrivare in paradiso, con polpacci, quadricipi e soprattutto la pianta dei piedi che chiedono pietà. Nelle scarpe sento una fastidiosa e abbondante presenza di fanghiglia e non vedo l'ora di ritrovare il primo ostacolo ad acqua per ripulirli. Affiancati e cercando gli obiettivi di fotografi e telecamere passiamo sotto l'arrivo/partenza mentre lo speaker ci chiama per nome. Siamo a 59' e qualche secondo. Riprendiamo il secondo giro, stessi ostacoli e stesso circuito, ma con dieci chilometri e quattordici ostacoli in più sulle spalle. Aumentiamo un po' il ritmo senza risparmiarci troppo. Il fatto di essere anche a conoscenza di ciò che ci aspetta ad ogni curva aiuta. Visto che il ritmo non è altissimo riusciamo anche a parlare tra una cunetta e l'altra mentre cominciamo a sorpassare quelli che si sentono più stanchi. L'unico intoppo lo troviamo al settimo ostacolo, quello dei muri di fieno, il più lento e faticoso di tutti. Gli ultimi degli undicimila sono ancora al primo passaggio quando sopraggiungiamo. Cerchiamo di superare un po' di coda per non perdere troppo tempo, ma ci lasciamo almeno 10-15 minuti abbondanti. Il cielo non sembra volersi aprire e solo l'aria fredda che batte sulle gambe bagnate da un po' fastidio. Ripetiamo uno ad uno tutti gli ostacoli mentre doppiamo un bel numero di strongman, qualcuno veramente distrutto. Quando siamo nuovamente sul rettilineo finale ho già quasi nostalgia della corsa, perchè so che non sarà facile ripere un'esperienza così. Senza nessuno sprint all'ultimo metro taglio il traguardo con Simone ancora una volta a braccia alzate. Paghiamo, come tutti gli altri del resto, il rallentamento del settimo ostacolo e il cronometro segna 2h 01' 03". Usciamo con il fango che si sta seccando su maglia, pantaloni, guanti. Le scarpe e le calze nemmeno si vedono più. Le bionde e more hostess tedesche ci infilano la meritata medaglia dei Finisher, l'orgoglio di ogni Strongman. Quella che dice io c'ero e l'ho finita. L'altro trofeo che dice la stessa cosa, la maglia dei Finisher, non ce lo vogliono dare. Rimango un po' stupito, ma mi spiegano che con l'iscrizione wild-card non è prevista. D'altronde sono membro del Team-B. Ma quando uno diventa Strongman non si arrende certo di fronte ad un rifiuto e insistendo un po' con le persone giuste, da bravo italiano, riesco a farmene dare comunque una. Al ristoro la sorpresa più inaspettata ma anche la più apprezzata è la birra (rigorosamente analcoolica) dissetante e rigenerante. Dovrebbero prenderlo in considerazione anche per le altre corse. Poi è tutta una festa. Poco a poco arriviamo tutti: Manlio, Pino, Davide, Daniele, Olivia, Roberto, Simona, Simone, Michele, Maria, Mariella, Andrea M., Andrea P., Filippo, Gaspare, Omar, Alessandro, Andrea, Filippo ed Enrico. Sorrisi, abbracci e complimenti per ogni prestazione, che sia da 1h 30' o che sia da 3h 40'.

Abbiamo corso insieme, ci siamo divertiti. Abbiamo avuto la fortuna di poterci essere e di vivere quest'avventura insieme, qualcuno addirittura per la seconda volta. Solo il coccodrillo di Enrico ci ha lasciato. Siamo tornati e ci siamo già divisi, con un po' di nostalgia, di malinconia, di voglia di rifarlo. Ma con un'esperienza in più che ci terrà per sempre uniti. Per noi e per le nostre corse, che prima o poi si reincroceranno. Ausfhart!

Qui trovate tutti i racconti della nostra avventura alla Strongman Run.