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Pacer alla Maratonina di Crema (Crema)

Guardare gli occhi lucidi di chi ha appena finito la sua corsa insieme a te e sentire il suo lungo abbraccio non volersi mai staccare dalle tue spalle. Singhiozzi e stanchezza che si mischiano dopo un'ora e mezza di corsa. Alzare lo sguardo e incrociare gli occhi di lei appena arrivata a sorpresa mentre ti sorride con un nuovo personale. Un bacio e un abbraccio davanti ad una transenna. Sentire la voce di chi ha appena finito la sua maratona ed ha raggiunto quell'obiettivo che sembrava imprendibile. Vedere il sorriso nelle sue parole, l'euforia della vittoria, la gioia che nasce dalla fatica e dalle delusioni. Sapevo che oggi sarebbe stato un gran giorno, ma non pensavo sarebbe stato così emozionante. Anche perchè a correre, davvero, oggi non sono stato io, ma le gambe di quelli che vogliono farlo insieme a me.


Si ringrazia Roberto Mandelli di Podisti.net per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

Quando mio Zio mi aveva detto che avrebbe corso la Maratonina di Crema avevo sperato di poterci essere anche io. Il problema grosso era sapere in che condizioni. Di sicuro non avrei potuto provare a correre come sei mesi fa, ma speravo almeno di poterlo fare con lui. Per lui. E' anche grazie a lui se oggi sto scrivendo questo blog, se cinque anni fa ho scoperto seriamente la corsa, se questo sport è diventata parte della mia vita. E me l'ha cambiata. C'è stato un periodo in cui siamo riusciti a correre insieme, dopo mesi di (mia) fatica per raggiungere la sua velocità pluriannale. Ma sono passati in fretta, forse troppo, per la differenza di età. E se prima era lui a starmi davanti, le posizioni poi si sono invertite. E quando prepari le gare è difficile poi dire "oggi provo ad andare più piano". Ma oggi si è ripresentata l'occasione di ripagarlo per tutto l'aiuto che mi ha dato nei miei primi passi, le volte che mi ha tirato, le volte che mi ha aspettato. Saremmo dovuti essere in gruppo, anche con Marco e Mario (in bici). Invece è stata la nostra corsa. E pensare che oggi neanche sarei dovuto essere a Crema. Da giugno, prima dell'infortunio, avevo in programma la Maratona di Torino, per il mio nuovo personal best. Ho maledetto i giorni di infortunio, le settimane fermo impossibilitato a correre. Ma oggi, tutto ha avuto il suo epilogo. Alla partenza eravamo in tanti, io, Chiara, Zio, Marco, Mario, mamma, Francesco. Il gruppo della Martesana Corse con Plinio presidente-spettatore. Sono anche riuscito finalmente a salutare Paola (Sanna) ed Elisabetta (Vogue) che non vedevo da tanto. C'era anche Roberto, fotografo-portafortuna. La temperatura perfetta. Sembrava facesse freddo e invece i 6-7°C di quest'inverno mite sono stati il clima ideale per correre. Partiamo qualche metro dietro la linea di partenza dei quasi millequattrocento partecipanti. Marco dovrebbe fare il ritmo, 4' 13", ma rimane subito attardato di qualche metro. Con la calca iniziale rimaniamo separati inizialmente. Io mi sento bene e carico e anche mio Zio mi sembra ben in giornata. Dopo settimane di allenamenti per lui è il giorno di riscuotere i risultati. Vedo che tiene bene il passo e lo affianco. Controllo solo io il tempo ad ogni intermedio e uscendo da Crema dopo due chilometri abbiamo solo qualche piccolo secondo di ritardo. Tutto facilmente gestibile. Il percorso è bello. E' quasi nella totalità esterno alla città e infatti passata la zona dei capannoni ci ritroviamo quasi subito in aperta campagna. Non conosco molto del cremasco, ma le strade mi ricordano particolarmente i tratti della Maratona di Reggio Emilia, ma con molto meno sali-scendi. Una sottile lingua di asfalto che attraversa i campi verdi e umidi del mattino e qualche piccolo paesello rurale. In lontananza in tutte le direzioni sono ben visibili cascine e fossi che contornano i campi. Non appena lo spazio lo consente prendo io il comando del passo. L'unica parte difficile di tutto il tracciato è il passaggio sui quattro cavalcavia. Due li troviamo subito, in sequenza, ma passiamo indenni, almeno al cronometro. Non parliamo molto. Il ritmo è segnato solo dai nostri passi e mi accorgo che continuiamo, dalla partenza, a superare piccoli gruppetti, guadagnando continue posizioni. Io mi sento proprio bene. Potrei andare più forte, ma oggi non è la mia corsa quella importante. E poi a me serve mettere chilometri nelle gambe e lavorare in settimana sulla velocità. Il polpaccio sembra stare bene, le gambe anche. Al quinto chilometro abbiamo qualche decina di secondi di vantaggio sul nostro obiettivo, ma non sembre che il ritmo sia un problema nemmeno per mio Zio. Cerco di stargli davanti e di farmi seguire il più vicino possibile, di lasciare a lui le traiettorie migliori, di essere costante al meglio. E sembra che mi venga bene a detta del cronometro. Nessun cedimento. Tra il settimo e l'ottavo chilometro mi accorgo che ho sbagliato i calcoli e che abbiamo quindici secondi in più di vantaggio sul tempo prestabilito. Non dico niente, lasciando credere che tutto sia perfetto. Beh, sarebbe stato peggio il contrario. Le gambe di mio Zio girano più che bene, ogni tanto ha dei piccoli strappetti in accelerazione e devo trattenerlo. So che alla fatica vera manca ancora qualche chilometro. Mario, in mountain-bike, fa la spola tra noi e Marco poco più dietro. Ogni tanto ci raggiunge per controllare il ritmo e la situazione, ma tutto procede per il meglio. I problemi iniziano dopo il quattordicesimo chilometro. La stanchezza comincia ad affiorare. Non per me. Io respiro bene, le gambe girano a meraviglia. Riesco anche a parlare e comincio ad incitare mio Zio rassicurandolo sull'andatura e sugli intermedi. Ogni tanto mi chiede come va e anche nei tratti in cui siamo un po' più veloci gli lascio credere che siamo perfettamente in linea. Intanto il nostro vantaggio aumenta. Meglio avere un buon bottino in secondi prima della fine, non sapendo come potrà reagire nel finale. Intorno al sedicesimo chilometro abbiamo uno strappo decisivo. Il ritmo scende sotto i 4' 10". Vedo nei suoi occhi la fatica ogni volta che lo controllo alle mie spalle. Ma le gambe vanno. Davanti a noi vediamo avvicinarsi intanto le maglie gialle di Tiziano e Vito, compagni martesani. Uno dei segreti per non mollare è quello di avere obiettivi davanti a sé e provare a raggiungerli. Glieli indico continuamente, ma sembra che le distanza per qualche chilometro rimanga invariata. Al diciassettesimo troviamo l'ostacolo che potrebbe rovinare la gara, l'ultimo cavalcavia. Non forzo il passo per non rompere il ritmo e quasi increduli passiamo anche questo chilometro in 4' 13" spaccati. Appena prima del diciottesimo raggiungiamo Tiziano e subito dopo Vito. Faccio due chiacchiere veloci con loro mentre anche Mario ci raggiunge per l'ultima volta accompagnandoci fin quasi all'arrivo. Mancano ancora tre chilometri. Solo tre chilometri. Controllo ad ogni istante che Zio rimanga attaccato. Ogni tanto rallenta ma poi subito mi si riavvicina. Rientriamo in città, esattamente dalle stesse strade fatte quasi 21 Km prima. E' finita quando ormai incontriamo il cartello dei diciannove chilometri. Continuo a ripeterglielo, imperterrito. Mario cerca di fargli aumentare ancora il ritmo. Io mi sento bene e provo ad incrementare il passo. Andiamo in tandem, cercando di trascinarlo più che posso. La sua espressione è di sofferenza, ma sa, anche senza guardare il cronometro, che ce la stiamo facendo. Qualche curva e un piccolo falsopiano traditore cercano di rovinare il finale ma non ci riescono. Entrati dalla prima porta che apre il vialone del centro, non ci resta che attraversare il pavè per arrivare all'altra porta, quella da cui siamo partiti. Due ali di transenne ci accompagnano fino alla piazza dove mi metto in possa per qualche linguaccia ai fotografi e poi spingo a tutta per cercare di trascinare lo Zio fino all'arrivo. Quando vede in lontananza in gonfiabile dell'arrivo e manca ancora qualche centinaio di metri ha una scarica di adrenalina e un cambio di passo repentino. Io lo affianco e lo scorto fino a pochi metri dall'arrivo. Poi rallento e lo lascio andare per quella che deve essere la sua prima corsa sotto il muro dell'ora e trenta, 1h 28' 58". Vorrei alzare io le braccia verso al cielo in segno di vittoria. Le gambe non sono nè stanche nè doloranti, ma tremano lo stesso per l'emozione. Vedo mio Zio appoggiato alla transenna che prova a riprendersi e quando mi avvicino, prima mi stringe la mano e poi mi abbraccia lascianodsi andare per la tensione accumulata. Il sogno realizzato. La fatica e i sacrifici ripagati. Io ho un nodo in gola e per un momento rimaniamo solo io e lui. Poco alla volta arrivano anche tutti gli altri. Prima Marco, ma per lui non era giornata. Solo un minuto più dietro Chiara, a sorpresa col suo nuovo personale sulla distanza, una terzo posto di categoria e una maratona da fare la prossima settimana. E poi mia mamma, con l'ennesimo podio di categoria nelle gambe.

Ma la giornata non è finita. Per dare a tutto un senso mi mancavano le notizie da Torino, da dove tutto era cominciato. Da Caio, col "mio" pettorale, e da Iacopo, col suo ritorno alle distanze più brevi. Meno bene per il mio amico Ultraman, che però di positivo ha capito che il corpo ha bisogno di riposare. E questa è una gran vittoria. Caio invece è arrivato dove voleva, con anche qualche minuto in meno. L'ho seguito per mesi durante la preparazione ed ho visto quanto impegno ci ha messo. Sacrifici, forza, determinazione. E quando prepari una maratona così, quando hai da prendere una rivincita per quanto andato male, quando sai che ce la devi fare non c'è nulla che ti può fermare. Resta solo da correre e vincere. Ed oggi tutti siamo un po' più Campioni.