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Marathon Comar, una corsa al di là della maratona

Tutti dovrebbero provare ad attraversare quel muro invisibile che ti fa vedere il mondo con occhi diversi. A me è successo alla 31° Marathon Comar de la ville de Tunis. Un passo oltre il mare. Ho riscoperto quello che è il vero cuore della corsa. Della maratona. Dello sport. Quell'essenzialità che va oltre tempi e prestazioni. Quella motivazione che ti può far capire davvero perchè amiamo tanto correre.

Quello che di tutta questa esperienza mi resterà davvero impresso negli occhi è il sorriso di tutti quelli che erano presenti. Bambini, ragazzi, adulti. Mamme, gruppi di amici, solitari. Atleti veri, runner improvvisati, amatori. Curiosi, fanatici, spettatori, organizzatori. Una festa prima di tutto. Un evento in cui l'importante è esserci. Non importa se con le scarpe da running o quelle da calcetto (si, ho visto correre quarantadue chilometri con le scarpe con tacchetti di gomma), se con la divisa d'ordinanza o la tuta di felpa, se con il velo in testa o il marsupio a tracolla. Correre per divertirsi. Per vivere una giornata diversa. Per provare a sentirsi campioni per una volta, ammassati sulla linea di partenza tra spintoni e sorrisi ai fotografi, ed essere i primi a partire e poi scoppiare subito dopo trecento metri (ma senza mai sentire un litigio, un insulto - e non perchè non capissi la lingua). Improvvisare una maratona o una mezza senza aver la minima idea di cosa voglia dire, senza aver mai programmato un allenamento o seguito una tabella.


Momenti e volti della 31° edizione della Marathon Comar de la ville de Tunis.

Non sto rinnegando tutto quello che fino ad ora ho vissuto in prima persona ed ho raccontato. Anche perchè sarebbe da incoscenti dire che si può correre una maratona solo provandoci. O negare che un buon paio di scarpe da running siano necessarie per non farsi male inutilmente. Ma forse, dietro ai tanti vizi e fronzoli a cui siamo abituati quando ci presentiamo al nastro di partenza, c'è qualcosa di più che la maggior parte delle volte ci scordiamo. Io per primo. Anche perchè per correre veloce non c'è bisogno di molto se non di noi stessi. Della forza di volontà, della costanza negli allenamenti, della voglia di farlo. E l'ho visto seguendo i top-runner di giornata (un kenyano, Mathew Kipsaat, e un tanzanese, Stephano Gwandu) per tutta la corsa. Per loro forse correre è qualcosa di più che l'hobby della domenica (garantisco che lo stipendio che si sono guadagnati correndo in due ore e tredici non farebbe sorridere la maggior parte di noi). Ma lo stesso è valso per i non-professionisti che hanno chiuso la mezza maratona in un'ora e tre minuti. Tutti mischiati nella calca pre-partenza, tutti con la stessa voglia di partire.


Momenti e volti della 31° edizione della Marathon Comar de la ville de Tunis.

Una maratona, una mezza maratona, una stracittadina e una corsa solo per bambini che hanno raggruppato più di duemilacinquecento persone. Io c'ero (invitato e ospitato da Comar Assurance, artefici del tutto) per valutare l'organizzazione, studiare la situazione, seguire la gara. Ma sono stato rapito dai mille volti che mi hanno circondato. Dagli sguardi. Dai sorrisi. Non parlo arabo e nemmeno francese. Eppure non c'è stato bisogno di dire nulla per entrare in sintonia con quel mondo. Che poi è il nostro. Quello della domenica mattina. Sentire quell'adrenalina (senza nemmeno essere sulla linea di partenza) che tutti noi ricerchiamo in ogni gara. Ma con una sfumatura diversa. Ho visto mondi contrapposti riversarsi contemporaneamente attraverso i lunghi e larghi viali di Tunisi. Come se non ci fossero diversità di preparazione, di età, di razza, di religione (e posso garantire che di diversità, in altri momenti, ne ho vista davvero tanta). I primi applauditi come gli ultimi. I primi (quelli della maratona) arrivati con gli ultimi (delle altre distanze).

Avrei voluto correre, lasciare anche il mio segno. O forse mi sarei perso tutto questo. Ho fissa in mente l'immagine dei tanti che, attraversando la linea di partenza rallentavano sul tappeto di rilevazione cronometrica, attenti a calpestarlo con tutti e due i piedi pensando di far leggere così il chip. Dei molti che arrivati troppo tardi dopo il via delle gare, che si sono semplicemente messi in coda cercando di raggiungere il lungo serpentone ormai per strada senza dire niente a nessuno. Ai bambini tra il pubblico incuriositi davanti all'arrivo, che a turno si sono fatti aiutare scavalcando le transenne, facendo cinque metri di corsa per tagliare il traguardo e sentirsi parte di quella favola. Ai tanti gruppi, intenti a fare ginnastica di riscaldamento nel pregara, in cerchio, come nel pieno degli anni ottanta. Ho pensato per un momento a quanto siamo diversi. A come ci siamo abituati. Trasformati. Evoluti (?). Mi sono chiesto se anche noi saremmo riusciti a correre buttati in quella mischia. Sudando, facendo fatica, lottando spalla a spalla. Come ogni maledetta domenica. Senza lamentarci di nulla. E sempre col sorriso. Perchè alla fine quello che facciamo tutti è correre. Semplicemente correre. Per sentirci vivi.