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Sola-mente una corsa

Ho allacciato le Nike Pegasus gialle e sono uscito. Mattinata calda per essere in inverno. Il sole basso nascosto da un cielo incerto, un po' di umidità. Erano giorni che non uscivo in strada e le gambe mi sono sembrate incerte. Quasi ho faticato a muoverle come se qualcosa le trattenesse. Maglia gialla Nike fosforescente con Corro Ergo Sum stampato in centro al petto, come l'ultima volta che ho corso davvero. Ho schiacciato lo start del TomTom Runner e ho allontanato i pensieri. Mi è sembrato quasi di volare come se i piedi davvero non toccassero terra. E' bastato un balzo per vedere il cielo più vicino. Mi sono visto come in un film americano dove tutti corrono lungo i viali che costeggiano i giardini verdi delle villette residenziali in mezzo agli immancabili irrigatori accesi, indossando felpe grigie zuppe di sudore su schiena e collo. Ma questa volta in quel film c'ero io.

Quello che più mi ha rapito è stato il silenzio. Quasi nessuno in giro e solo il rumore sordo dei passi che segnava il ritmo come il battito del cuore. Mi sono guardato attorno appena passato il ponte del Naviglio e la Martesana mi è sembrata diversa. Come nuova. Ma allo stesso tempo famigliare. Mi sono fermato un attimo guardando a destra ed a sinistra ed ho avuto come la visione di un'inquadratura veloce di una telecamera che sfrecciasse in senso opposto girandomi attorno. Ho ripreso a correre. Il respiro è aumentato, più teso. I campi sonnolenti dell'inverno mi sono sembrati più vivi di sempre. Anche l'acqua, che mancava nel canale da parecchi mesi, più pulita. Non ho incrociato nessuno. Solo io perso sulla mia alzaia in una mattina di gennaio. Io e la mia corsa. Ho guardato il TomTom solo dopo alcuni chilometri per non guastare il momento magico. E con sorpresa mi sono accorto che il cronometro invece che aumentare stava segnando un conto alla rovescia. 35' 47". Quarantasei Quarantacinque. Quarantaquattro. Mi sono fermato ed ho guardato la strada davanti a me. Una leggera bassa foschia. Trentasette. Ho deciso di continuare comunque ancora per un po'. Non mi sono mai allontanato dall'alzaia. Le gambe non le ho mai sentite stanche, la schiena riposata, come se nulla fino ad oggi fosse successo. Ho provato qualche aumento di ritmo ma senza troppa convinzione, come se ci fosse qualcosa a trattenermi. Sono ritornato verso casa ma la strada mi è sembrata diversa. La gente è aumentata. I tratti di cammino si sono alternati alla corsa ma non mi sono mai sentito stanco. Ho guardato le scarpe, ancora nuove, scintillare nel loro giallo quasi irreale. Al mio fianco un'ombra dura, scura nonostante il cielo opaco. E come d'impulso ho guardato il cronometro. I minuti che scorrevano inesorabili. Ho aumentato il passo in affanno, come se sapessi di dover arrivare per qualcosa che mi stava aspettando. Le braccia hanno cominciato a mulinare sempre più velocemente, le ginocchia più alte. Il suono dei clacson in lontananza, il fiato adesso corto e ritmato asincronamente dal cuore. Ho lasciato l'alzaia come se stessi per scappare da qualcosa, come se il mondo dietro crollasse, come se un lungo crepaccio si allungasse alle mie spalle ad ogni passo. Ho corso per le vie del paese saltellando tra un marciapiede a l'altro, cosa che non faccio mai. Tre minuti e venti secondi. L'ultimo scatto. Una fitta alla schiena, poi due. Ho visto casa in lontananza avvicinarsi piano piano come quando sei agli ultimi centonovantacinque metri della maratona. Vorresti dare ancora di più, ma le forze sono finite, le gambe esauste, l'adrenalina a mille. L'arrivo era li, ad una manciata di metri, ma il suono vibrante del gps ha spezzato tutto. Di colpo il fiato si è rotto, le gambe immobilizzate, il tempo fermato. Ho spalancato gli occhi. Un cuscino, un piumone, la sveglia. E una nuova corsa da raccontare.