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Incredibile Wings For Life World Run

La mia storia d’amore con la Wings For Life World Run è nata qui, quasi per caso, il 3 maggio (come oggi) di cinque anni fa. Una corsa incredibile, unica, che si è trasformata in una favola. Se avete voglia di scoprirla e di riviverla, prendetevi cinque minuti.

Non posso che parlare di Chiara prima di qualsiasi altra cosa dopo questa fantastica due-giorni passata a Verona per la Wings For Life World Run. Immaginavo e speravo sarebbe stata una festa, ma mai avremmo potuto sognare un epilogo come quello che è stato.

Chiara, che non ha mai voluto dire ci provo, che raggiunge-supera-stacca al ventiduesimo chilometro la norvegese fino ad allora in testa alla corsa, e il suo finale in fuga fino ad alzare lo scettro di vincitrice della gara italiana. In diretta mondiale. Una vittoria importante per tutti gli allenamenti e i sacrifici fatti fino ad ora, per quella Maratona di Padova di sole due settimane fa non andata come voleva, per quei fastidi muscolari con cui fare i conti da più di un mese. Io insistevo, glielo avevo detto, anche se lei apparentemente non ci voleva pensare. O forse solo non lo diceva per scaramanzia. Ma vederla arrivare circondata da moto e telecamere, scortata dalle bici scendere dalla collina di Calmasino è stata un'emozione grandissima. Mi sono commosso. Non c'è stato tempo per pensare, ma solo ancora la voglia di continuare insieme.

Rifarei ancora tutto da capo e non cambierei nulla di tutto quanto è successo. Anche se avrei voluto arrivare al 50 Km, baretterei mille altre volte con il finale di questa Wings For Life World Run ogni chilometro in più che avrei potuto fare. Mentirei se dicessi che lo sapevo, ma in cuor mio ad un certo punto l'ho sperato davvero. Ma per capire cosa è stato devo andare con ordine. Partire dall’inizio. O forse ancora prima.

Non rientrava nei miei programmi la Wings For Life World Run (2015). Ma quando Runner's World e Red Bull mi hanno dato la possibilità di conoscere e correre con Re Giorgio Calcaterra per la registrazione dei video-consigli per la corsa mi è bastato poco per convincermi a presentarmi alla partenza. Una gara in contemporanea mondiale a favore della ricerca sulle lesioni al midollo spinale (4.200.000 € raccolti) e una sfida senza eguali sulla distanza dell'ultra-maratona. Una corsa diversa dove si è respirata più aria di festa che di gara. Ma solo fino al momento del via.

Posso dividere la mia corsa in quattro parti ben distinte: dal 1 al 7 Km, dall'8 al 25 Km, dal 26 al 36 Km e dal 37 al 39,47 Km. Quattro fasi diverse, con ritmi, emozioni, fatica, pensieri, percorso differenti. Ognuna caratterizzata da un momento particolare, sensazioni indimenticabili. Perché anche se il tutto è stato poco meno di una maratona, con i classici quarantadue chilometri non ha avuto nulla in comune. Era ormai da giorni che controllavo le previsioni del tempo per sapere se ci sarebbe stato sole, pioggia o umido e sapevamo benissimo che non sarebbe stata una corsa semplice da nessun punto di vista. Ad ottobre la nostra mezza/maratona di Verona erano state segnate dal percorso non regolare, con piccoli strappi e ostico. Ed infatti il percorso anche questa volta non ha perdonato.

Prima parte: divertirsi

Parola d’ordine: divertirsi. Poi provare ad arrivare a cinquanta chilometri. Per me è stata la prima volta. Ma con un passo attorno ai 4' 15"/20" sarebbe stato tutto possibile, vista anche l'ottima conduzione di gara di tre settimane fa alla Milano Marathon. Ma siccome il divertimento è sempre stato al primo posto, al via mondiale dello speaker la prima idea è subito stata quella di correre i primi chilometri nel centro di Verona insieme a Re Giorgio. Ok farlo in allenamento, ma in gara ha tutto un altro sapore. E la gara nella gara è stata soprattutto quella di riuscire a prendere e mantenere la posizione in mezzo a tutti i pretendenti. L'ho affiancato e per i primi chilometri mi sono affidato al suo ritmo, sperando di non subirlo troppo.
Strade subito irregolari, con piccoli sali-scendi, asfalto alternato a pavè e lastroni. Ma è anche stata l'unica vera parte contornata da un grande pubblico. Fortunatamente (a parte il primo chilometro a 3' 40") la freschezza iniziale, la foga e un po' la calca hanno contenuto il ritmo poco sotto o poco sopra i 4' al chilometro. Andata e ritorno tra Corso di Porta Nuova verso le mura e Corso Cavour sfilando davanti al Castello, piccola puntata in Piazza delle Erbe, circumnavigazione del centro e poi passaggio sulla sponda opposta dell'Adige. Tutto passato in un attimo e senza neanche troppa fatica. Ma il sudore ha cominciato a cadere copiosamente sugli occhi dopo una manciata di minuti. Cielo coperto, ma tanto umido (75%) ed ho capito che se non avessi subito rallentato sarebbe stato un calvario più avanti. Per cui, dopo un saluto e un in bocca al lupo a Giorgio, ho cominciato a trattenere la frenesia cercando di portarmi alla velocità di crociera stabilita. Cosa non semplice quando si è troppo freschi e la differenza di passo è elevata. Ci ho messo almeno due chilometri per rientrare sulla giusta velocità, giusto il tempo di riattraversare il fiume e cominciare ad uscire dalla città.

Seconda parte: controllo

E mi sono ritrovato sulla vecchia strada nemica dei primi chilometri della Cangrande Half/Marathon, un leggero falsopiano che costeggia l'Adige andando verso le colline dell'entroterra veronese. Ma, vista la condizione fisica e il ritmo decisamente più sostenibile, senza alcun problema. Dal ponte ho potuto valutare la posizione iniziale attorno al quindicesimo posto e in lontananza, ad un centinaio di metri, ho visto allontanarsi piano piano il gruppo diegli inseguitori con Re Giorgio. A farmi compagnia un ragazzo di Bolzano che mi ha raggiunto dalle retrovie. Qualche chilometro insieme e anche il tempo di fare quattro chiacchiere prima di ritrovarmi nuovamente solo. Ma una vera corsa solitaria, con pochissimo pubblico per le strade e quasi nessun avversario/compagno attorno.
Vista la distanza prefissata da raggiungere e il tempo da far passare, distrarre la testa è stata la prima cosa da fare. Perdersi nei pensieri e lasciare le gambe a fare il loro dovere. Davanti qualcuno si era già fermato ai cartelli del 10 Km (39' 59") e 15 Km (1h 01' 07"), preoccupati più dal tempo che dalla distanza da percorrere. Conduzione pressoché perfetta, con un vantaggio di circa due minuti e mezzo guadagnato nei primi chilometri in città. Un buon bagaglio in vista dell'imminente arrivo delle colline della Valpolicella. E infatti, proprio con l'entrata a Parona le cose hanno cominciato a cambiare. Basta viali larghi a costeggiare l'Adige, basta palazzi sempre più radi. Le strade hanno iniziato a zigzagare stringendosi ed allargandosi entrando ed uscendo dai piccoli centri abitati, alternando piccole salite e discese. Ma ritmo e gambe non lo hanno sentito subito, mantenendo una velocità abbastanza costante. Percorso che è sempre più peggiorato. Qualche assaggio di salita tra i vigneti di Quar e Corrubbio, ma pensieri e vista persi tra gli ettari di verde coltivato a vite su tutte le colline circostanti. Poi la fatica è salita poco alla volta, sempre di più. Il passaggio pianeggiante a Pescantina è stato l'ultimo sprazzo di lucidità della giornata, e il paesaggio ha perso ben presto significato sostituito dalla preoccupazione costante di non finire le energie troppo presto. Essere solo a metà della strada prefissata e sentire già i primi cenni di crisi non è stato facile da accettare. Ho provato a fare subito ricorso ai gel, ad aspettare qualche minuto per rivalutare le forze, ma dopo aver riattraversato l'Adige per l'ultima volta, ogni speranza è diventata vana.

Si ringrazia Red Bull per la gentile concessione sull'utilizzo delle fotografie.

Terza parte: la crisi

Tra il 25 Km e il 26 Km è iniziata la parte più dura del percorso. Una salita costante, in mezzo al nulla e a nessuno, fino allo strappo del trentesimo chilometro. L'umidità e i miei muscoli ancora non del tutto ripresi dopo la Maratona di Milano non sono più andati d'accordo. La sensazione dell'imminente arrivo di crampi a flessore e adduttore della gamba sinistra non mi ha più abbandonato, soprattutto lungo i tratti di salita. Ho stretto i denti il più possibile, prima rallentando il passo, poi provando a camminare per qualche tratto e alleggerire la morsa del muscolo. Contemporaneamente anche il polpaccio destro ha cominciato ad indurirsi, probabilmente sfiancato dal supportare il peso ceduto dall'altra gamba. Un calvario. Non ho potuto più spingere, ma solo correre senza forzare troppo provando ad arrivare ancora un po' più in là. Dalle retrovie qualcuno a cominciato a superarmi ed ho invidiato fortemente il loro passo deciso e sicuro mentre mi hanno sopravanzato. Allo stesso tempo anche davanti hanno iniziato ad avere problemi e le posizioni si sono rimescolate.
Attorno al trentesimo chilometro (2h 08') ho valutato d'essere attorno alla venticinquesima posizione. Ed è stato incredibile ripensare alla stessa situazione in maratona, quando dopo 30 Km avevo ancora forza ed energie da vendere. Una situazione ed una condizione totalmente diverse. Ma ho pensato solo a non farmi male, a fare più strada possibile comunque e a divertirmi. Ho riso e scherzato con le volontarie ai ristori, con i bambini che volevano il cinque fuori dalle loro case e sentirsi dire finalmente qualcuno col sorriso, mi ha ricambiato per tutta la fatica fatta fino a quel momento. Ma vedere sfumare piano piano il proprio obiettivo non è stato facile. E la particolarità della Wings For Life World Run l'ho colta proprio in quel momento.
Lo sconforto e la fatica che devastano la testa continuano nel cercare di convincerti a fermarti al prossimo ristoro. Non c'è un vero traguardo da raggiungere, non c'è nessuno che ti aspetta. È la strada più semplice. E dire no e continuare a testa bassa non è così facile. E ho pensato a Chiara, più dietro, che sapevo avrebbe potuto fare bene. Ma non sapevo come potesse stare, se la sua gamba le stesse ancora dando problemi, se la maratona di sole due settimane fa fosse ancora nelle gambe. Sono andato avanti, tra una pausa per tirare i muscoli e massaggiare il polpaccio e una corsa per non far raffreddare troppo le gambe.
Il tratto tra Ronchi e Calmasino mi è sembrato essere interminabile, con continui sali-sendi ed il traffico che è aumentato avvicinandoci al Lago di Garda. Quarantatre minuti per sei chilometri, un'infinità e un ristoro che sembrava non arrivare mai. Ma tutta la fatica mi è sembata scomparire quando abbiamo scollinato attraversando il paese. All'improvviso davanti si è aperto l'orizzonte sul lago, calmo, piatto, immobile, avvolto dalla foschia creata dall'umidità. Lì davanti, a qualche chilometro, quasi come in una fotografia in bianco e nero. Mi ha strappato un sorriso e un respiro. Per un attimo ho dimenticato la fatica trotterellendo verso il ristoro, giù per la discesa.

Quarta parte: Chiara

Con tutta calma mi sono rifocillato. Io che non mi ero mai fermato (nel vero senso della parola) ad un ristoro prima di questa gara. Prima una Red Bull, poi un po' di sali, mezza banana e una bottiglia d'acqua da portarmi dietro. Quattro passi tranquilli per far riprendere i muscoli e sono ripartito. Ma dopo neanche cento metri ho sentito confusione alle spalle. Ho pensato all'arrivo della catcher car non sapendo ormai più valutare i tempi e invece con mia immensa sorpresa ho riconosciuto moto, telecamere e bike che stavano accompagnando la prima donna. Giù dalla discesa l'ho riconosciuta subito. Maglia rosa Corro Ergo Sum e pantaloncini colorati. Chiara.
Mi sono sbracciato per farmi vedere e ho aspettato che mi raggiungesse. È stata come una scarica di adrenalina. Una ricarica di energia. Soprattutto per la testa. Mi sono emozionato. Non ci ho pensato e l'ho affiancata subito senza rendermene conto, correndo al suo ritmo come se nulla fosse. Come se i crampi non ci fossero mai stati, come il polpaccio non continuasse ad indurirsi, come se l'inguine/addominale non continuasse a bruciare sempre più forte. E senza fermarmi più. Ma l'ho vista bene, decisa, sicura. E abbiamo corso insieme fino alla fine, circondati dagli ormai suoi angeli custodi e i saluti della gente che la applaudivano ad ogni passaggio.
Siamo scesi verso Valesana ormai certi che la sua prima posizione fosse al sicuro da qualsiasi attacco dalle retrovie. Non avrei potuto immaginare un finale di gara più bello di questo. E se me lo avessero detto non ci avrei mai creduto potesse succedere. La delusione per i dieci chilometri che avrei dovuto ancora correre è scomparsa improvvisamente. Quando in lontananza è comparsa la catcher car è stato quasi un sollievo. Ho leggermente rallentato applaudendo, lasciando che l'arrivo fosse il suo arrivo. 39,47 Km in 3h 00' 05" (rispettivamente 35° e 36° assoluti). E un finale che non cambierei con nessun altro al mondo.

Ho scoperto solo dopo che al 22 Km aveva recuperato la prima donna (norvegese) staccandola subito e correndo il resto di gara in solitaria inseguita da una italiana (seconda) e una francese (terza) che non l'avrebbero mai raggiunta.
La premiazione è stata istantanea, velocissima e in diretta mondiale. Fascia, scettro della vincitrice femminile e cartello col chilometraggio. Foto, riprese e intervista. E io mi sono goduto tutto in disparte, col sorriso stampato in viso e l'emozione di poterne essere stato partecipe involontario. Intanto Re Giorgio Calcaterra stava ancora macinando chilometri e non si è fermato prima un'emozionante sprint finale con la catcher car a poco più di 78,5 Km (esattamente la distanza che esce sommando i chilometri corsi da me e Chiara, nda), quarto al mondo. Un percorso difficile, accidentato, non lineare e con un clima ostico. Sono sicuro che a parità di condizioni non ce ne sarebbe stato per nessuno.

A me rimane un'esperienza unica nel sue genere. Una corsa diversa, ma sempre corsa vera. Un concatenarsi di eventi che l'ha resa ancora più bella di qualsiasi trama si potesse scrivere. Partire al fianco del vincitore e terminare l'ultimo metro insieme alla vincitrice. Di meglio non avrei saputo chiedere.